Macro | 🇺🇸 Biden, i chip e i salari immaginari 🇺🇸
Un flash sul dibattito americano (e una clip di Nixon).
Buon sabato.
Immagino che molti di voi avranno letto, ascoltato, guardato tutte le interpretazioni possibili del “debate” di giovedì, degli incespichi senili di Biden, del panico che hanno generato tra i “dem” e della possibilità che a novembre il candidato dei democratici non sia Biden.
Non vi preoccupate: non aggiungerò rumore su questi temi. Altri aspetti, oltre a questi, mi hanno colpito del dibattito. Per esempio: quanto poco si sia parlato di Cina. Per carità, è comprensibile – i temi di politica estera a cui l’elettorato USA è più sensibile al momento sono ovviamente le guerre in corso – ma mi sarei comunque aspettato qualche menzione in più da parte di entrambi i candidati, non fosse altro perché entrambi sono stati molto attivi su quel versante e avrebbero svariati “trofei” da mostrare al pubblico (sanzioni, tariffe, restrizioni all’export etc.).
[Inciso: se saranno “trofei” buoni, o anche solo utili alla causa americana, lo deciderà la storia ma, a oggi, per gran parte dell’elettorato sono inequivocabilmente dei “trofei”]
Il momento più “cinese” è stato probabilmente quando Trump ha accusato Biden di essere al soldo di Pechino – addirittura rispolverando l’espressione “Manchurian candidate” (gran film l’originale, ve lo consiglio) – ma è stato un picco di effervescenza trumpiana più che di confronto su temi di policy.
Un altro passaggio – breve ma per me molto significativo – è stato quello che vi mostro in questa clip (sì Biden, ahimè, incespica anche qui).
Le ragioni per cui questo passaggio mi ha colpito sono due. La prima, e ovvia, è che ho appena pubblicato un libro sui chip e sono particolarmente sensibile all’argomento. La seconda è che nella formulazione di Biden (in particolare in quel “we invented those chips and we lost it!” – peraltro uno dei suoi momenti più energici nell’intero dibattito) ho ritrovato perfettamente espresso il ruolo anche “simbolico”, quasi un punto d’onore, che i chip rivestono nella politica industriale bideniana.
Una questione che nel libro spiego con parole non così diverse da quelle pronunciate l’altra sera:
Nella campagna elettorale di Biden [il riferimento in questo caso è a quella del 2020, ndR] la filiera dei chip finì per diventare emblema dei problemi lasciati in eredità da decenni di iper-globalizzazione. Non dimentichiamo che uno dei cavalli di battaglia della campagna dei democratici per ribattere alla retorica del Make America Great Again trumpiano, è stata l’enfasi sulla necessità di ridare lavoro agli americani, di re-industrializzare il paese, di riportare a casa le attività di manifattura migrate altrove. E quale migliore esempio per illustrare tale concetto di un’invenzione tutta americana, di un’eccellenza nella storia della tecnologia – nientemeno che il petrolio dell’intera civiltà digitale – che gli Stati Uniti non erano quasi più in grado di produrre in casa propria? […]
Nell’industria dei chip si incontra un grande capisaldo della visione del mondo, e dell’America, dell’amministrazione Biden: la necessità di considerare la politica domestica e quella estera come due sfere che si influenzano a vicenda. Nell’analisi bideniana, la crisi della classe media, a cui viene ascritta la polarizzazione della democrazia USA, e la sfida cinese vengono interpretate come due facce della stessa medaglia: macro-problemi lasciati in eredità da decenni di primato del mercato […].Come dichiarato dal Consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan in uno dei discorsi più commentati del 2023: “uno degli assunti” della globalizzazione “era che tutta la crescita fosse buona crescita. In questo modo svariate riforme si sono combinate e allineate per privilegiare alcuni settori dell’economia, come la finanza, mentre altri settori, come i semiconduttori e le infrastrutture si atrofizzavano”.
Questa analisi è il succo della cosiddetta Bidenomics, il nome con cui nel 2021 la stampa ha cominciato a chiamare le idee di Biden in tema di politica economica: una filosofia meno imperniata su interdipendenza internazionale e finanza e più improntata ad autarchia, politiche industriali e all’attenzione per gli impatti sociali (internamente) e strategici (esternamente) delle scelte economiche di Washington.
C’è tuttavia un aspetto che da subito non mi è tornato in questo passaggio. E ovvero quando Biden ha detto che la reindustrializzazione nel settore dei semiconduttori porterà in America lavori da 100mila dollari l’anno. E non solo: lavori da 100mila dollari l’anno che “non richiedono una laurea”.
Ecco… diciamo che questa è un po’ una ca…ta (eufemismo).
Considerando il livello di qualifica richiesto per lavorare nella produzione di chip, è forviante che Biden cerchi di presentarlo come un iper-pagato “blue collar job” (in italiano da “tuta blu”). A quanto pare è peraltro un’informazione che il presidente americano ripete da un po’ e infatti era già stato condotto del fact-checking in proposito, che ha rivelato che la cifra di 100mila dollari per lavoratori non specializzati citata da Biden è un salario a dir poco immaginario.
Citando dal link qui sopra:
Il rapporto afferma che “i lavoratori nel settore dei chip guadagnano costantemente più della media degli Stati Uniti a tutti i livelli di istruzione” e include un grafico che mostra il “premio salariale” che i lavoratori possono aspettarsi in base al loro livello di istruzione. Quelli con un’istruzione inferiore alla laurea possono aspettarsi di guadagnare poco più di 40.000 dollari. Quelli con una frequenza universitaria 60.000 dollari, mentre un diploma può aumentare il guadagno a 70.000 dollari. I salari superano le sei cifre solo per coloro che hanno un Bachelor (120.000 dollari) o una laurea specialistica (poco più di 160.000 dollari). I lavori nel settore dei semiconduttori pubblicizzati da Biden possono essere ben pagati, ma chi non ha una laurea non può aspettarsi di raggiungere una media di oltre 100.000 dollari, come ha talvolta indicato il presidente.
La realtà, peraltro, è che uno dei problemi che al momento l’America si trova ad affrontare nel suo difficile tentativo di “riportare a casa” l’eccellenza industriale nell’ambito dei chip è proprio la mancanza di manodopera abbastanza qualificata.
Come scrivo ne Il re invisibile:
Si calcola che agli Stati Uniti manchino attualmente circa 300mila ingegneri specializzati per colmare la necessità di manodopera prevista dal CHIPS Act.
Il problema della manodopera qualificata è anche il motivo per cui è stata più volte rimandata l’apertura di quella che è la “storia di copertina” del CHIPS Act, ovvero una grande fab di TSMC in Arizona. Costo preventivato 12 miliardi (parte di un più ampio piano d’investimenti da 40, con alle spalle però un sistema di notevoli incentivi e sgravi fiscali), la fabbrica doveva entrare in attività quest’anno ma prima la data è slittata al 2026 e poi, molto di recente al 2027 o più probabilmente 2028. Lo scorso anno, TSMC ha dovuto inviare in America una squadra di tecnici da Taiwan per fornire agli ingegneri americani un supplemento di formazione, indispensabile per gestire la complessa tecnologia con cui lavora. Addirittura è stato necessario inviare un ulteriore team di 500 operai specializzati da Taiwan per aiutare nella costruzione dell’infrastruttura e nell’installazione dei macchinari.
TSMC ha dovuto constatare che negli Stati Uniti mancavano addetti con esperienza nella costruzione di edifici dotati dei requisiti richiesti dalla produzione di semiconduttori ai nodi più avanzati. A riprova di come la manifattura di chip sia ormai così sofisticata da richiedere competenze elevate a tutti i livelli del processo, anche quelli a prima vista più banali. Il fatto è che tali competenze, frutto non solo di formazione ma anche di esperienza e consuetudine, sono estremamente difficili da trasferire.
Un Nixon (stranamente) commovente
Tornando al dibattito ma cambiando completamente discorso, credo che questo tramonto bideniano in mondovisione meriti la nostra empatia.
Aldilà dei giudizi politici, umanamente è una pagina molto triste che, in modi diversi, mi ha ricordato un altro momento emotivamente carico della storia politica americana, ovvero il discorso di addio allo staff della Casa Bianca di Nixon (anche qui aldilà dei giudizi – personalmente pessimi – sul personaggio).
Vi metto qui il video.