Macro | π I dilemmi del dragone π
La Cina, le "nuove forze produttive" e i loro difficili equilibri.
MartedΓ¬ 16 aprile i mercati hanno sussultato alla notizia che la crescita cinese nel primo trimestre dellβanno ha superato il 5%. Per lβesattezza Γ¨ al 5,3%. Dal momento che le previsioni erano molto piΓΉ basse, il dato Γ¨ stato accolto con una certa sorpresa. Dal preparare il funerale allβeconomia cinese in pochi giorni si Γ¨ passati a decantarne la βrinascitaβ. Ma Γ¨ davvero tutto oro quello che luccica?
Negli stessi giorni in cui sono usciti i dati del primo quarto di anno, Xi Jinping ha ricevuto la visita del cancelliere Olaf Scholz, la seconda in meno di due anni (della prima avevo scritto su Domani). Nel corso di un incontro con gli studenti dellβUniversitΓ di Shanghai, Scholz ha dichiarato che le relazioni commerciali sino-europee si manterranno positive solo se la Cina ritornerΓ a competere βlealmenteβ, ovvero βsenza fare dumping, senza spingere per un eccesso di capacitΓ produttiva e senza infrangere i copyrightβ. Alla lectio di Scholz hanno fatto seguito, pressochΓ© nelle stesse ore, le dichiarazioni di Draghi sulla necessitΓ di unβEuropa capace di reinventarsi di fronte alla crescente militarizzazione delle politiche economiche e industriali di Cina e USA. Nello specifico, Draghi ha accusato la Cina di voler βerodereβ la capacitΓ industriale dellβEuropa, per βcatturare e internalizzare ampie parti delle supply chain delle tecnologie avanzateβ.
Γ invece notizia di questa settimana la perquisizione, da parte di investigatori della commissione competitivitΓ della UE, degli uffici olandesi e polacchi di Nuctech, unβazienda cinese che vende scanner per aeroporti ed Γ¨ tra i principali fornitori di questa tecnologia in Europa. La perquisizione fa parte di unβindagine sullβentitΓ dei sussidi di stato che riceve Nuctech da Pechino. La tesi dellβaccusa Γ¨ che tali finanziamenti le permetterebbero di agire sul mercato europeo in regime di sovraccapacitΓ , offrendo i suoi prodotti a un prezzo fuori mercato per i concorrenti locali.
Indagini simili sono in corso di svolgimento anche nel settore delle auto elettriche e nellβambito dei dispositivi medicali. Come ha dichiarato mercoledΓ¬ Von Der Leyen, commentando le ultime notizie: βCi piace la competizione leale. Quello che non ci piace Γ¨ che la Cina inondi il nostro mercato con prodotti massicciamente sussidiati. Questo Γ¨ ciΓ² che combattiamo. Competizione bene, dumping maleβ.
In tutti questi casi, la risposta della Cina Γ¨ sempre la stessa: lamentare la natura profondamente politica del (neo)protezionismo europeo, e rispedire le accuse al mittente, rispondendo che non si tratta di slealtΓ ma semplicemente di maggiore competitivitΓ delle aziende cinesi in alcuni settori.
Questa levata di scudi europea, che a Washington e Bruxelles qualcuno giudica tardiva, si somma alle politiche americane da tempo apertamente βostiliβ alla Cina e, nel complesso, mette in discussione il sistema di βlibero commercioβ su cui si basa, fin dai primi anni Ottanta, lβequazione della crescita cinese (ovvero: mobilitazione di massa del lavoro + accumulazione di capitale attraverso influsso dβinvestimenti dallβestero = esportazioni).
Negli ultimi anni tale sistema Γ¨ entrato in crisi per molte ragioni. Alcune hanno a che fare con questioni aperte β di equilibrio interno e di egemonia esterna β relative agli Stati Uniti ma altrettanto determinanti sono state le scelte cinesi dellβultimo decennio abbondante, da quando cioΓ¨ Xi Γ¨ salito al potere. Lβevidente tentativo di convertire la rapida crescita economica del paese in influenza geopolitica, ha portato lβOccidente (e non solo) a guardare la Cina con crescente sospetto. Il fatto Γ¨ che le fortune dellβeconomia cinese β e dunque, indirettamente, anche le sue ambizioni politiche β sono finora state legate a doppio filo, in una stretta interdipendenza industriale e commerciale, con quelle dellβOccidente.
La Cina Γ¨ nella paradossale situazione per cui vorrebbe mettere in discussione, a livello politico, un ordine mondiale di cui ha, nei suoi riflessi economici, in realtΓ ancora bisogno.
Come mostra il grafico qui sotto, un ulteriore ingrediente nella ricetta della crescita economica cinese Γ¨ stato, negli ultimi trentβanni, il settore immobiliare. Il real estate ha funzionato come cinghia di trasmissione tra i proventi βesterniβ del capitalismo industriale, votato allβexport, e le necessitΓ di accelerare il metabolismo finanziario dellβeconomia interna cinese. Grazie alla mobilitazione di innumerevoli industre pesanti, il settore immobiliare ha garantito aumento dellβoccupazione, ridistribuzione della ricchezza e ricircolo dei capitali anche in senso geografico (cioΓ¨ spostandoli dai centri produttivi/finanziari alle aree interne). Γ stato insomma componente fondamentale del mix economico cinese, specie visto che parliamo di un paese enorme e con livelli di sviluppo altamente disuguali al suo interno.
Negli ultimi quattro anni, come Γ¨ noto, la cinghia di trasmissione si Γ¨ rotta, col risultato che la Cina si trova oggi a fronteggiare tassi di disoccupazione (soprattutto giovanile) senza precedenti, il che non solo costituisce un problema di ordine sociale, sopratutto in un paese privo di alternanza, ma anche, ovviamente, economico.
A causa dello scoppio della bolla immobiliare, la domande interna cinese, giΓ storicamente debile, Γ¨ al momento fragilissima, anche perchΓ© Xi continua a rimandare gli investimenti di spesa pubblica che aiuterebbero i consumatori a spendere con maggiore fiducia. Tale debolezza sarebbe un problema in ogni caso ma lo Γ¨ ancora di piΓΉ in un momento in cui, come detto, la Cina si trova a dover far fronte a un clima di crescente ostracismo alle sue esportazioni nei due piΓΉ mercati piΓΉ maturi al mondo: USA ed Europa.
La congiuntura appare ancor piΓΉ problematica se si considera che attualmente la Cina sta attraversando una fase di transizione programmata e programmatica del suo intero modello di sviluppo (lβEconomist lo ha definito un βrischioso rebootβ).
Come accaduto in passato (si pensi al famoso βriforma e aperturaβ di Deng Xiaoping), questa βfaseβ Γ¨ stata anticipata da una serie di slogan che ne enucleano i concetti fondamentali. I principali, e piΓΉ volte ripetuti da Xi Jinping durante questo primo scorcio di 2024, sono βxin sheng chanliβ e βgao zhiliang fazhanβ.
Rispettivamente significano βnuove forze produttiveβ e βsviluppo di alta qualitΓ β e indicano lβintenzione di Xi di posizionare lβeconomia cinese su un gradino piΓΉ elevato nella scala del valore aggiunto.
Negli ultimi 40 anni la Cina Γ¨ stata, come Γ¨ noto, la βfabbrica del mondoβ. Il luogo in cui operai poco o nulla specializzati cucivano, montavano, assemblavano oggetti destinati (principalmente) al mercato occidentale. Sebbene non corrisponda da molti anni alla realtΓ , questa immagine del Dragone Γ¨ dura a morire. In realtΓ la Cina Γ¨ giΓ oggi il paese leader in molti segmenti cruciali dellβeconomia contemporanea. Non Γ¨, insomma, piΓΉ un semplice βesecutoreβ materiale di istruzioni produttive altrui. Per molti versi, oggi Pechino si trova in una posizione simile a quella che occupava lβOccidente negli anni β80. Proprio come lβOccidente allβepoca, potrebbe quindi operare una svolta post-industriale e maturare unβeconomia basata principalmente su servizi. Non Γ¨ tuttavia quello che ha in mente Xi Jinping quando parla, con richiamo volutamente marxista, di βnuove forze produttiveβ.
A differenza di quanto ha scelto di fare lβOccidente in passato, la Cina non vede il proprio futuro oltre lβindustria, bensΓ¬ vuole sviluppare la propria βproduttivitΓ β industriale verso fasce evolutive superiori (da qui il concetto di βsviluppo di alta qualitΓ β). A Pechino (e non solo lΓ¬) cβΓ¨ la convinzione che le intelligenze artificiali, le tecnologie legate alla transizione energetica, i futuri sviluppi della microelettronica (o il suo superamento), la cosiddetta βeconomia della bassa quotaβ (droni), rappresentino altrettante sfaccettature di una nuova e piΓΉ generalizzata βrivoluzione industrialeβ. Una βrivoluzione industrialeβ capace di generare dividendi e benessere persino superiori a quelli delle rivoluzioni industriali del passato, e di cui la Cina vuole diventare protagonista e possibilmente leader a livello globale.
Per realizzare questa visione, Xi non sta lesinando in investimenti. In questi primi anni Venti ha speso una media vicina al 3% del suo PIL in progetti di ricerca scientifica e tecnologica che promettono profonde ricadute produttive e industriali. Γ anche grazie a questo imponente flusso di denaro che la Cina Γ¨ oggi leader nella ricerca teorica su tecnologie altamente futuribili come la βcomputazione otticaβ.
Lβambizione di Pechino tuttavia si scontra con le circostanze del periodo che abbiamo riassunto finora. Come ha dimostrato in passato il fallimento del modello sovietico, che pure era in grado di produrre scienza di alto livello, tradurre la ricerca teorica in industrie in grado di ambire a una vera e propria leadership nella βmodernizzazioneβ (altra parola chiave che ricorre spesso nei discorsi di Xi) non puΓ² prescindere da livelli di consumo capaci di ripagare gli investimenti e di stimolare la competitivitΓ e la produttivitΓ dellβimpresa.
Questi consumi possono essere garantiti solo in due modi: o tramite una forte domanda interna, oppure grazie alla possibilitΓ di contare sullβaccesso a mercati esteri molto ricchi. Entrambe queste condizioni, evidentemente, cozzano contro lo scenario descritto pocβanzi. La domanda interna cinese Γ¨ stagnante a causa degli effetti ancora da assorbire della crisi dellβimmobiliare mentre lβaccesso ai mercati globali Γ¨, per tutti, non solo per la Cina, oggi molto piΓΉ conteso e incerto rispetto a ciΓ² che era allβapice della cosiddetta βiper-globalizzazioneβ.
Il βcul de sacβ cinese Γ¨ reso ancora piΓΉ critico dal fatto che alcune tra le piΓΉ cruciali filiere da cui dipende non solo lβinnovazione di oggi, ma anche quella di domani e dopodomani, sono sotto il controllo del suo maggiore rivale geopolitico, ovvero gli Stati Uniti. I quali, dopo una lunga fase di semplice βcontenimentoβ, negli ultimi anni sono passati allβattacco e oggi non si limitano a rallentare i progressi tecno-scientifici della Cina ma stanno proattivamente cercando di farli regredire (questi argomenti sono trattati anche nel mio nuovo libro, Il re invisibile, di cui a breve vi parlerΓ² a dovere).
Non solo la Cina si trova dunque di fronte a un doppio dilemma, interno ed esterno, ma le sue possibili soluzioni rischiano di contraddire quella che finora Γ¨ stata lβortodossia politica di Xi.
Il ripristino di un clima internazionale nuovamente propenso al βfree tradeβ non potrebbe infatti che passare da un ammorbidimento delle ambizioni geopolitiche della Cina, che Xi non Γ¨ mai stato finora propenso a considerare (come testimonia lβannuncio di nuovi recenti aumenti della spesa militare). Una possibile soluzione al problema della domanda interna viceversa richiederebbe una qualche forma di stimolo e di aumento della spesa pubblica. Un tipo di intervento pubblico che da sempre Xi considera come un tratto di debolezza e decadimento, non solo finanziario ma anche socio-morale, tipico delle letargiche economie occidentali. Come anzi ci ricorda Michael Pettis in un ottimo intervento sul Financial Times, il tema della debolezza della domanda interna cinese (che Pettis pone in termini di eccesso di risparmio) e quello dellβ βeccessoβ di capacitΓ industriale e di aggressivitΓ nellβexport sono, notoriamente, due facce della stessa medaglia, due componenti della stessa strategia di sviluppo (peraltro piuttosto comune in Asia e ben nota anche ai tedeschi):
Il tasso di risparmio interno strutturalmente elevato della Cina Γ¨ il risultato di una strategia di sviluppo decennale in cui il reddito viene effettivamente trasferito dalle famiglie per sovvenzionare il lato dellβofferta dellβeconomia β la produzione di beni e servizi. Come risultato di questi trasferimenti, la crescita del reddito familiare Γ¨ rimasta a lungo indietro rispetto alla crescita della produttivitΓ , lasciando le famiglie cinesi incapaci di consumare gran parte di ciΓ² che producono.
La (non)soluzione al dilemma cinese, potrebbe dunque stare nel mezzo. In quella βrealpolitik geoeconomicaβ per cui la Cina sa bene che, per quanti proclami possano fare, Stati Uniti ed Europa non possono permettersi di chiudere del tutto le porte alle capacitΓ produttive cinesi. Γ una questione di costi, di prezzi, di inflazione, di tenuta sociale ed economica delle loro democrazie. Come ha ricordato Xi in occasione della visita di Scholz: βLe esportazioni cinesi hanno arricchito le forniture del mercato globale e allentato la pressione inflazionistica, oltre ad aver fornito un grande contributo agli sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico e la transizione verde.β
Lo stesso viaggio di Scholz ha dimostrato che la Germania, e per estensione lβEuropa hanno bisogno di tenere aperti i canali commerciali con il mercato cinese, la cui domanda sarΓ pure debole ma Γ¨ demograficamente insostituibile. Lo dimostra il fatto che, per la seconda volta, al seguito di Scholz cβerano anche i grandi ciambellani dellβindustria tedesca (dellβauto e non solo).
Persino gli Stati Uniti usano con la Cina una sorta di strategia βpoliziotto buono e poliziotto cattivoβ, che vede nei panni del primo la segretaria al commercio Janet Yellen. La quale, nel corso della sua visita a Pechino di inizio aprile, ha certo sottolineato il problema degli eccessi produttivi cinesi ma ha anche rimarcato la necessitΓ di mantenere in vita la βcooperazione economicaβ tra Cina e USA.
Le relazioni tra Cina ed economie occidentali (ammesso che si potrΓ parlarne ancora a lungo in termini di blocco) potrebbero continuare insomma nel segno di una co-dipendenza, in cui entrambi gli attori cercano di ottenere il massimo concedendo il minimo, mentre corrono la corsa a chi saprΓ meglio dominare e scatenare le βnuove forze produttiveβ delle future tecnologie.
Come tuttavia ci ricordano gli psicologi, nei legami di co-dipendenza cβΓ¨ spesso, intrinseco, un elevato grado di tossicitΓ . Γ indubbiamente il caso della relazione β sempre piΓΉ infelice e turbolenta tanto al loro interno quanto nelle loro interazioni esterne β tra Cina e Occidente. La domanda Γ¨ quanto a lungo essa potrΓ ancora deteriorarsi prima di esplodere.