Macro | π€"Il malato d'Europa" π©πͺ
Il mondo Γ¨ cambiato nel modo peggiore per la Germania e ora la Germania rischia di cambiare nel modo peggiore per il mondo.
Secondo un recentissimo sondaggio, lβAfD (Alternativ fΓΌr Deutschland), partito di estrema destra tedesco, Γ¨ il secondo piΓΉ popolare in Germania dietro la CDU e davanti alla SPD. La notizia fa scalpore perchΓ© la crescita di una forza di estrema destra in Germaniaβ¦ non puΓ² che far scalpore. Non solo per la Storia del paese ma anche perchΓ©, fino a pochi anni, la Germania era parsa lβunico grande paese europeo (relativamente) immune dallβascesa delle destre. Cosa Γ¨ cambiato? E soprattutto, come siamo arrivati a questo punto?
Nei primi 2000,Β EconomistΒ eΒ Financial TimesΒ definivano, un giorno sΓ¬ e lβaltro pure, la Germania βthe sick man of Europeβ (unβespressione dβinizio 900, coniata per l'impero Ottomano in sfacelo). Accostandola alla Germania, essi miravano a sottolineare le secche in cui, a cavallo del millennio, si era arenata lβeconomia tedesca, fino quel momento lβunica, in tutto lβOccidente, ad aver superato (quasi) indenne la crisi degli anni 70 e a non aver dovuto ricorrere a un lifting neoliberista negli 80.
E tuttavia, un decennio dopo la caduta del Muro, la Germania non era piΓΉ guizzante. Pareva non essere riuscita ad adeguarsi alla globalizzazione, mentre il compito di riassorbire 16 milioni di tedeschi cresciuti sotto il comunismo, si era rivelato piΓΉ gravoso del previsto.
Fu cosΓ¬ che Gerhard SchrΓΆder, un politico SPD con notevoli connessioni industriali, corse alle elezioni del 1998 imbracciando un programma chiamato βDie Neue Mitteβ (Nuovo Centro), in pratica una βterza viaβ blairiana in salsa teutonica: riduzione delle tasse, riforma del lavoro, liberalizzazione dei capitali, tagli del welfare etc. Un pacchetto completo di post-industrializzazione dellβeconomia a cui, in un famoso discorso al Bundestag nel 2003, SchrΓΆder diede il nome diΒ Agenda 2010.Β
Non fu facile convincere i tedeschi β piΓΉ attenti alla sostanza che alla chiacchiera e poco avvezzi ai cambiamenti repentini β della bontΓ di quei provvedimenti ma SchrΓΆder ci riuscΓ¬. Il prezzo politico fu perΓ² molto alto. La SPD, storico partito social-democratico con una rappresentanza nei ceti popolari, perse molti consensi proprio in quelle demografie, e fu accusato di aver tradito la sua identitΓ di βsinistraβ. Non avrebbe piΓΉ vinto unβelezione per quasi ventβanni.
A posteriori, SchrΓΆder ha giustificato quel βsuicidioβ politico, sostenendo che le riforme di Agenda 2010 erano lβunica strada per far tornare la Germania a crescere e ad essere allβaltezza di sfide e opportunitΓ della globalizzazione.
A loro modo, gli eventi gli diedero ragione. Implementate le riforme, la Germania tornΓ² a correre. DiventΓ² modello di βtransizione post-industrialeβ riuscita con pieno successo. A godere i frutti di tale successo, furono tuttavia i cristiano-democratici della CDU, nella persona di una ex dottoranda in chimica, cresciuta nella DDR ed entrata in politica quasi per caso: Angela Merkel.
Tra il primo ingresso al Bundestag da Kanzlerin nel 2004, e lβultimo, nel 2021, Merkel ha capitalizzato gli effetti a lungo termine delle svolte di SchrΓΆder, senza dover quasi far nulla dal punto di vista dellβazione socioeconomica. O meglio: di suo, Merkel ci ha messo il rigore con cui ha βprotettoβ gli interessi dellβeconomia tedesca in Europa, specie durante la famigerata crisi del debito del 2011.Β
Il resto dellβeccezionale performance con cui, in pochi anni, la Germania Γ¨ passata dal titolo di βsick manβ a quello di βlocomotiva dβEuropaβ, Γ¨ stato in gran parte frutto di circostanze esterne. Una volta riviste le relazioni tra capitale e lavoro al proprio interno, nessun paese europeo ha goduto quanto la Germania delle βstraordinarieβ condizioni globali tra anni Zero e primi anni Dieci.
Grazie alla reputazione dei propri marchi, a una solida cultura di βricerca e sviluppoβ e alle economie di scala delle sue multinazionali, la Germania ha potuto massimizzare i vantaggi della βdivisione internazionale del lavoroβ e delle cosiddette βcatene del valoreβ. Padroneggiando processi produttivi ad elevato valore aggiunto, i tedeschi hanno tratto il massimo dalle delocalizzazioni e dalla possibilitΓ di sfruttare manodopera a basso costo in altri paesi. Questi βaltri paesiβ, spesso non erano neppure cosΓ¬ lontani: la caduta del Muro ha infatti permesso alla Germania di costruirsi una specie di piccolo βcommowealthβ nellβEuropa dellβest. E quando quello non bastava, cβera pur sempre la βsolitaβ Cina.
Grazie a tali circostanze, la Germania Γ¨ stata a lungo il terzo paese al mondo per import-export complessivo. Dietro, ma non di molto, a Cina e Stati Uniti, due economie in assoluto molto piΓΉ grandi. Tra anni Zero e Dieci, il valore reale degli stipendi dei tedeschi era quasi il 40% piΓΉ alto di un paese con la stessa identica economia ma industrialmente autarchici. Significava che il valore che lβeconomia tedesca era, al tempo, in grado di catturare dalle filiere globali era eccezionalmente elevato. Di fatto solo Stati americani come la California e lo stato di New York facevano meglio della Germania su questo versante.
Lβaltra grande condizione del successo tedesco era lβenergia a basso costo, assicurata in parte dalle contingenze del mercato e, in altra parte, da accordi specifici (ormai famigerati) per forniture di gas dalla Russia. E proprio quegli accordi rappresentano, a posteriori, lβimmagine piΓΉ plastica della politica tedesca degli ultimi ventβanni. La leggerezza con cui SchrΓΆder (in seguito entrato addirittura nel board di Gazprom) e Merkel si sono resi dipendenti da Putin β nonostante le evidenti problematicitΓ dellβoperazione (inclusa: lβopinione degli Stati Uniti in merito) β testimonia dellβingenuitΓ di entrambi i leader.
Γ paradossale, ma si puΓ² dire che la patria di Rochau e Bismarck abbia peccato di realismo nel considerare le proprie relazioni internazionali. Proprio mentre ai paesi mediterranei predicava frugali atteggiamenti da formica in campo fiscale, la Germania si comportava da cicala in campo geopolitico. Investiva, quasi alla cieca, nellβidea che il mondo eccezionalmente βarmoniosoβ, βpacificoβ e βtrade-orientedβ della globalizzazione sarebbe durato per sempre.
Come sappiamo non Γ¨ andata cosΓ¬. A partire dal 2016, con lβelezione di Trump e la Brexit, il clima internazionale ha cominciato a farsi sempre piΓΉ caldo. E se, in principio, Trump e soci potevano apparire come aberrazioni, negli ultimi anni abbiamo capito che i pilastri su cui si reggeva lβeconomia globale erano molto piΓΉ effimeri del previsto.
Prima il covid ha esposto la loro caducitΓ operativa, sfasciando come niente gli anelli di importanti filiere. Poi le tensioni tra Cina e America ne hanno rivelato la dipendenza dalle βgrand strategyβ delle superpotenze. Infine la guerra in Ucraina ne ha svelato il reale costo energetico e geopolitico (v. punto precedente).
Questa nuova realtΓ ha avuto impatti duri per tutti ma particolarmente per la Germania. E del resto non poteva essere altrimenti. Nel momento in cui il mondo si Γ¨ βcomplicatoβ, sono stati i paesi piΓΉ βconnessiβ e βdipendentiβ da esso a pagare il prezzo maggiore.
E se per gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, questa fase di grande complessitΓ combacia con delle scelte che, in parte, essi stessi hanno compiuto, la Germania, in questi ultimi tre anni, ha scoperto di poter scegliere ben poco. Ha dovuto, per esempio, chiudere i rubinetti del gas russo, anche se Γ¨ parso chiaro come fosse tutto fuorchΓ© contenta di farlo. Qualcosa di simile Γ¨ accaduto, e sta accadendo, anche in Cina. Come raccontavo a dicembre in un pezzo su Domani, i grandi marchi tedeschi dellβauto hanno investito decine di miliardi in Cina e oggi si ritrovano additati come βcollaborazionistiβ di Xi Jinping: i renitenti al decoupling invocato a gran voce da Biden (nel frattempo diventato derisking).
Tutto questo ha rivelato in modo abbastanza sconcertante la mancanza di peso politico di un paese che, per lunghi tratti, sembrava poter fare il bello e il cattivo tempo in Europa (ritorna in mente il kissingeriano βla Germania Γ¨ troppo grande per lβEuropa e troppo piccola per il mondoβ). La mancanza di peso politico ha, in parte, a che fare anche con lo scarso bagaglio di relazioni personali di Scholz, rispetto a Merkel. Ma cβΓ¨ dellβaltro. E ovvero che la Germania, come detto, ha investito con eccessiva disinvoltura negli aspetti piΓΉ contingenti e precari della globalizzazione. Divenuto paese anti-militarista per eccellenza, e per ottimi motivi, ha pensato che, alla lunga, le altre grande potenze lβavrebbero seguita sulla strada della βsempliceβ competizione economica. Non Γ¨ andata cosΓ¬ e la Zeitenwende sugli armamenti riesce, allo stesso tempo, a essere preoccupante (dati corsi e ricorsi atroci) tardiva e, per ora, anche impalpabile.
Cosa centra tutto questo con lβascesa dellβAfD?
Ovviamente molto. I problemi strutturali elencati poco fa hanno mandato lβeconomia tedesca in recessione. Al punto che oggi piΓΉ dβuno rievoca i vecchi titoli sul βsick man of Europeβ. Lβimpotenza di Scholz davanti alla situazione, ha incendiato un malcontento popolare che lβAfD coltivava con pazienza da anni, cavalcando i βgrandi classiciβ delle destre occidentali: lβimmigrazione, la βwokenessβ e cosΓ¬ via. A questo repertorio si sono aggiunti ora lβinflazione, la critica alla guerra in Ucraina, agli USA e allβAtlantismo, in quanto portatori di un concetto di Occidente diverso da quello dei βveriβ tedeschi (una radice ideologica che, quando prende troppa luce, in Germania puΓ² crescere molto rapidamente).
Il paradosso Γ¨ che, se oggi, la AfD raccoglie tanto consenso, lo fa anche sulla base dei lasciti degli ultimi tre grandi leader del paese. Il modo in cui Helmut Kohl scelse di condurre lβintegrazione della zoppicante DDR nellβeconomia galoppante della Germania Occidentale ha creato le premesse per un paese che, ancora dopo trentβanni, viaggia a due velocitΓ diverse: con enormi differenze di reddito, istruzione media, investimenti e cosΓ¬ via. Ed Γ¨ proprio nei Lander della Germania orientale che oggi lβAfD ottiene gran parte dei consensi.
Lβauto-distruzione della SPD come forza social-democratica compiuta da SchrΓΆder, ha fatto sΓ¬ che lβunico grande partito che poteva assorbire parte del malcontento su cui capitalizza lβestrema destra, non sia piΓΉ considerato un interlocutore credibile dalle classi popolari che non hanno dimenticato il voltafaccia di ventβanni fa.
Infine, il pugno duro della Merkel, durante la crisi del debito del 2011,avrΓ fatto forse gli interessi dellβeconomia tedesca ma, nella coda lunga, ha creato unβEuropa piΓΉ debole, frammentata e in mano a classi politiche inadeguate al momento storico. Quella di Merkel Γ¨ stata una grande occasione mancata per assumere una leadership convincente e popolare del Vecchio Continente. Quella leadership che consentirebbe alla Germania di sedersi ai grandi βtavoli del mondoβ con quel peso continentale che oggi le manca.
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Parla del ruolo della logistica e dei grandi trasporti nel mondo di ieri e di oggi. Parla di Amazon e di navi fenicie, di Alessandro Magno e di container, di supply chain e di economia spaziale, di guerre coloniali e di Repubbliche Marinare, di Keynes e di Friedman.
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