Sebbene sia ormai chiaro che l’attuale inflazione sta vivendo di vita propria ed è spia di disequilibri molto più grandi nel sistema economico globale (ne parleremo in una prossima lettera), è innegabile che la scintilla che ha fatto scoppiare l’incendio dei prezzi è scoccata, durante il covid, nel comparto della logistica e dei trasporti.
Come scrivo nel mio libro, il primo momentum dell’attuale inflazione ha avuto “origine da problemi che riguardano i trasporti e gli approvvigionamenti, le filiere e la loro resilienza”. Basti pensare al costo di trasporto dei container. Un costo che, tra 2021 e 2022, è schizzato alle stelle, con effetti immaginabili sul prezzo finale di tutto ciò che viene trasportato dentro le scatole.
Considerando che – post-globalizzazione o meno – dal trasporto globale dipendono supply chain fondamentali per l’industria planetaria, si capisce come dai problemi del trasporto possano derivare conseguenze molto serie per tutta l’economia.
Secondo un recente studio della Federal Reserve Bank di San Francisco, la percentuale dell’odierna inflazione attribuibile, più o meno direttamente, a problemi legati alle supply chain è circa il 60% del totale (v. grafico).
Ora che la pandemia si è conclusa, alcune situazioni – inclusa quella del container – si sono normalizzate. Altre no. È ormai chiaro che alcuni problemi sono sistemici e non si risolveranno in modo né facile, né rapido, né indolore. Tra essi ci sono gli impatti del cambiamento climatico su mezzi, infrastrutture e superfici del trasporto. Il caso più eclatante è quello del canale di Panama.
Completato, con grande fatica, nel 1914, e tra i progetti d’ingegneria più complessi mai terminati dalla nostra specie, il canale di Panama è una struttura fondamentale per l’economia globale. Collegando Pacifico e Atlantico attraverso una via d’acqua di appena 80 chilometri, il canale ha eliminato il problema della circumnavigazione della punta del sud-America, una rotta lunga 15mila chilometri e molto complessa. Ogni anno dalle sue chiuse passano circa 13mila navi, pari a circa 500 milioni di tonnellate e al 46% dei container che si muovono nel mondo, provenienti o diretti verso 160 paesi e 1700 porti.
Da questi numeri si capisce che stiamo parlando di uno snodo davvero vitale per il sistema logistico (e quindi economico) globale. Il problema è che, da anni ormai, il canale di Panama è caratterizzato da periodiche siccità che hanno ridotto i livelli dell’acqua del lago Gatùn (il lago artificiale da cui si attinge l’acqua per far funzionare il sistema di chiuse del canale di Panama) sotto i 24 metri (contro gli abituali 27 di questo periodo dell’anno).
Per non rischiare di trovarsi senz’acqua, le autorità che governano il canale stanno centellinando quella rimasta. Ciò però implica che le navi con un pescaggio superiore ai 13,4 metri sono al momento impossibilitate a passare, mentre quelle che si avvicinano a questa misura sono costrette a scaricare parti del carico per alzare il livello dello scafo. Questo significa che, al momento, anziché 36/37 grandi navi al giorno, negli ultimi mesi il canale è percorso da meno di 30.
Dato che, più che in altri settori, nel mondo dei trasporti tutto si collega a tutto, questo problema non si riverbera solo su Panama. Una riduzione dei flussi in uno snodo così importante, giocoforza dirotta navi e carichi verso altre rotte, aumentando il loro congestionamento e quindi i loro costi. Il tutto si traduce in una crescita generalizzata dei prezzi del trasporto che, come detto, è, nel medio-lungo termine, una delle fonti primarie dell’inflazione.
Se si trattasse di un’anomalia non sarebbe preoccupante. Il problema è che, come molti altri fenomeni, questa situazione rientra nel “nuovo normale” climatico. E anzi potrebbe peggiorare, visto che ogni anno l’influsso del famigerato El Nino sul clima del sud e centro-America si fa sempre più pesante. C’è seriamente il rischio che, in un un futuro non troppo lontano,il canale debba dimezzare il numero di navi in transito.
Le conseguenze economiche sarebbero in quel caso molto pesanti. Costringerebbero a ripensare intere supply chain e avrebbero ripercussioni sulle geografie economiche (e anche politiche) di ampi territori, tanto in Asia quanto nelle Americhe e, indirettamente, anche in Europa. Un esempio di come, in un mondo interconnesso, i fenomeni climatici possano toccare le nostre vite (in questo caso, passando dalle nostre tasche) anche quando i loro effetti si manifestano a migliaia di chilometri da noi.
Tutte le statistiche ufficiali del canale di Panama (traffico, valore e volume delle merci in transito, principali rotte servite etc.).
Il tracking in tempo reale delle navi che stanno attraversando il canale.
Dati, aggiornati ogni settimana, su livelli, e tipologie, d’inflazione in diversi paesi.
Un video che spiega come funziona il canale di Panama (questo è invece un articolo più tecnico):
La signora delle merci è il mio secondo libro. È uscito a maggio per LUISS University
Parla del ruolo della logistica e dei grandi trasporti nel mondo di ieri e di oggi. Parla di Amazon e di navi fenicie, di Alessandro Magno e di container, di supply chain e di Spazio, di guerre coloniali e di Repubbliche Marinare, di Keynes e di Friedman.
Ovviamente parla anche degli argomenti di questa lettera: del ruolo delle grande infrastrutture e dei grandi canali per il funzionamento dell’economia globale e dei problemi che il cambiamento climatico pone alla logistica da cui dipendono le filiere.