Macro | Micro #4 🔪 "L'Ultima Cena" di Intel e il padrone della logistica italiana (e non solo) ⚓
I destini divergenti di Pat Gelsinger e di Gianluigi Aponte
Benvenuti a una nuova Micro, la rubrica settimanale di link e letture (spero) interessanti di Macro. Oggi parliamo di due uomini di grande potere ed influenza, in due momenti decisamente diversi della loro traiettoria.
Tra la caduta di Assad, il caos coreano, la crisi politica francese, le esplosioni all’Aia e le soliti terribili notizie dall’Ucraina e dal Medio Oriente, è stata una settimana densa di avvenimenti di grande significato. Anche per questo motivo si è persa un po’ nelle cronache di questi giorni, la notizia della rimozione di Pat Gelsinger dalla poltrona di CEO di Intel. Della crisi di Intel avevo già parlato nell’ultimo post della mia serie “Stati della Computazione” e questa notizia è l’ennesima conferma dello stato critico, anzi criticissimo, in cui versa l’azienda sinonimo, fino a pochi anni fa, di silicio.
L’allontanamento di Gelsinger – formalmente presentato come un pensionamento – è una notizia particolarmente allarmante poiché, in teoria, si trattava proprio dell’uomo che era stato scelto per traghettare l’azienda fuori dalla crisi con la sua “grand strategy”, basata su un irrobustimento delle attività di manifattura.
La “grand strategy”, purtroppo per Intel, era parsa già in difficoltà da qualche mese, con serie ricadute sulle manovre del governo americano in fatto di geopolitica e politica industriale della computazione.
Ne scrivevo appunto nel post di cui sopra.
L’attuale CEO Pat Gelsinger sta tentando una complessa operazione di salvataggio che punta a dotare Intel di capacità di manifattura per conto terzi paragonabili a quelle di TSMC, così da alimentare un flusso di cassa con cui nutrire la ricerca avanzata su tecnologie particolarmente futuribili. In pratica Intel continuerebbe a fare entrambe le fasi ma scorporandole e usando una per nutrire l’altra.
È una strategia di difficile attuazione (e che sembra già in difficoltà) che il governo americano seguirà con grande attenzione, visto che su Intel ha scommesso molto denaro del CHIPS and Science Act, oltre che importanti commesse per la difesa.
Gli Stati Uniti considerano del resto Intel uno dei loro asset industriali più strategicinonché un pilastro della loro sicurezza tecnologica. Una crisi terminale dell’azienda – che di recente ha cominciato a perdere quote anche nel mercato delle CPU (vedi grafico sotto) – costituirebbe un durissimo colpo alle ambizioni americane di resilienza nell’industria dei semiconduttori.
I commenti più brillanti, e divertenti, sulla questione li ho letti tutti qui su Substack. È roba parecchio da nerd ma se avete un po’ di pazienza ne vale la pena. Ve ne linko un paio:
Per un recap più generalista e accessibile, vi rimando all’analisi di Ian King su Bloomberg. Ecco un estratto che coglie il nocciolo della questione:
Gelsinger ha cercato di motivare i suoi dipendenti, gli investitori e persino il governo, richiamando il ruolo dei celebri fondatori di Intel e ricordando la storia eccezionale dell'azienda nel settore dei semiconduttori. Tuttavia, ha anche avvertito con discrezione che riportare l'azienda dove riteneva che appartenesse sarebbe stato un progetto di cinque anni. Non gli è stato concesso tanto tempo.
L'annuncio di lunedì del suo pensionamento, che secondo le nostre fonti è stato un allontanamento imposto dal consiglio di amministrazione, indica forse che una visione a breve termine ha ripreso il sopravvento in Intel, in un settore dove è necessaria una strategia di lungo periodo.
Non si saprà mai se il piano di Gelsinger avrebbe avuto successo. Certamente c'erano dubbi sul fatto che l'azienda potesse mai diventare un leader nella manifattura per conto di altri produttori di chip continuando al contempo a realizzare i propri semiconduttori a marchio Intel. Lo stesso Gelsinger era stato chiaro nello spiegare che i benefici finanziari di quell'iniziativa di foundry non sarebbero arrivati per alcuni anni. Nel frattempo, i costi per rilanciare la tecnologia dell'azienda e costruire impianti per attrarre clienti esterni avrebbero probabilmente prodotto risultati preoccupanti per gli investitori di Intel.
Ma la decisione di sostituirlo dopo meno di quattro anni, basata sulle critiche secondo cui la gamma di prodotti di Intel non avrebbe ricevuto abbastanza attenzione, fa sorgere il dubbio su cosa il consiglio si aspetti dal suo sostituto e con quale rapidità.
In parole semplici, Gelsinger stava vendendo prodotti concepiti durante il mandato dei suoi predecessori. Un ritmo di innovazione rallentato e una eccessiva dipendenza da miglioramenti produttivi attesi ma mai realizzati hanno lasciato Intel vulnerabile nei mercati in cui era già presente. Allo stesso tempo, due iniziative emergenti nel crescente settore dei processori per l’intelligenza artificiale — investimenti avviati anch'essi quando Gelsinger non era in azienda — si sono rivelate scommesse sbagliate o non hanno ricevuto abbastanza supporto interno.
Intel non è nemmeno nella corsa per competere con Nvidia nella produzione di acceleratori per AI. Decine di miliardi di dollari spesi per attrezzature per data center, denaro che una volta sarebbe andato a Intel, ora finiscono a un concorrente che l'ha superata in vendite e valore di mercato.
Continua qui.
Un altro eccellente contributo in merito alla crisi di Intel (e alle sue conseguenze per le politiche industriali e tecnologiche degli USA), proviene sempre dalla galassia di Bloomberg, ed è questa puntata del podcast Odd Lots (programma altamente raccomandato in generale) di inizio ottobre. Quindi precedente agli ultimi sviluppi ma piena di temi ancora attuali.
Durissimo è invece il giudizio del Wall Street Journal (paywall) in questo articolo dal titolo “Pat Gelsinger doveva salvare Intel. Invece ha distrutto 150 miliardi di valore”.
Il re dell’Italia vive in Svizzera
Gianluigi Aponte è l’uomo (italiano) più potente di cui forse non avete mai sentito parlare. Considerando tutti i suoi incarichi e le posizioni che occupa, si tratta probabilmente della singola persona che prende il numero più grande di decisioni strategiche per lo sviluppo del nostro paese (e non solo del nostro) ed eppure credo che nove italiani su dieci non sappiano neppure chi sia o che faccia abbia.
Se siete tra questi e volete cominciare a farvi un’idea, vi consiglio l’articolo di Francesco Maselli, pubblicato ieri sulla sua newsletter “Campanili”, titolato e sottotitolato in modo molto eloquente:
In Italia MSC ha occupato tutte le sedie – Dalla logistica al trasporto passeggeri, passando per i treni Italo e le associazioni di settore: come lo strapotere di Gianluigi Aponte influenza il sistema economico italiano.
Ecco l’ottimo attacco del pezzo:
Piano di Sorrento è un piccolo comune che si affaccia sul Golfo di Napoli, esattamente di fronte al Vesuvio. La piana dove sorge la città è divisa in quattro comuni, ennesima testimonianza dell’eccessiva frammentazione amministrativa italiana. In pochi chilometri quadrati si alternano Meta, Sant’Agnello, Piano di Sorrento e Sorrento, senza che nulla, se non dei segnali stradali, possa suggerire il cambio da un comune all’altro. È un luogo turistico, periferico per il capitalismo mondiale. Non per Gianluigi Aponte. Il fondatore di MSC è nato a Sant’Agnello e, pur essendo residente a Ginevra, non ha mai reciso il legame con la Penisola sorrentina. Lo scorso giugno l’armatore era proprio a Piano, a visitare il cantiere di un nuovo edificio che MSC ha comprato per farne un centro di formazione del gruppo. MSC ha altri tre uffici in Penisola e punta molto sulla tradizione marittima locale: molti marinai della flotta sono originari dei quattro paesi della piana, e l’economia locale beneficia, oltre che del turismo, anche della presenza della prima compagnia di navigazione del mondo. L’impronta arriva fino in Svizzera: “Aponte è un imprenditore, prende decisioni in base alle necessità del suo gruppo, ma ha certamente un occhio di riguardo per l’Italia. A Ginevra la lingua corrente è l’italo-napoletano”, mi ha raccontato un fornitore storico di MSC.
Il fondatore e i suoi manager conoscono dunque molto bene l’ambiente italiano, per quanto Aponte ne sia stato a lungo alla larga, forse anche per evitare il destino di Achille Lauro, come ricorda un articolo di Repubblica del 2006: “Le vicende del conterraneo – che dovette subire, a 90 anni, impotente, la vendita all’asta persino del suo frac e del bastone – sono servite ad Aponte per scansare un rischio mortale: quello di rimanere a Napoli, una città che inghiotte e uccide i suoi figli come l’Idra di Lerna”. Questo era vero vent’anni fa, quando MSC era una società importante, ma relativamente piccola di fronte ai colossi dello shipping mondiale. Oggi la questione è molto diversa, e basta mettere in fila le operazioni condotte in Italia negli ultimi anni per rendersi conto della pervasività della società svizzera...
Continua qui (con paywall).
Se siete nuovi da queste parti, io mi chiamo Cesare Alemanni. Mi interesso di questioni all’intersezione tra economia e geopolitica, tecnologia e cultura. Per Luiss University Press ho pubblicato La signora delle merci. Dalle caravelle ad Amazon, come la logistica governa il mondo (2023) e Il re invisibile. Storia, economia e sconfinato potere del microchip (2024).
Aponte se ne sta in Svizzera e noi gli diamo anche il titolo di "Cavaliere del lavoro". Siamo sempre stati un paese coerente!
e dire che Aponte non ha studiato ad Harvard