Vi presento Sun Wukong, il protagonista di Black Myth: Wukong, uno dei videogiochi più venduti e apprezzati dell’anno, nonché uno dei più discussi – perlomeno a mia memoria – fuori dal mondo dei videogiochi. Di Wukong hanno scritto testate come Bloomberg Businessweek, Foreign Policy, l’Economist, Financial Times, e non solo nelle pagine dedicate all’intrattenimento ma anche in quelle di politica ed economia internazionale. Il motivo è semplice: Wukong è il primo videogioco cinese abbastanza ambizioso da rivaleggiare, e non sfigurare, col meglio della proposta occidentale e giapponese nel settore (la cosiddetta categoria dei giochi “tripla A”). Il che è quasi un miracolo se si considerano due circostanze: la prima è che oggi la maggior parte dei giochi con ambizioni da “tripla A” sprofonda sotto il peso della crescente insostenibilità dei costi e delle complessità della produzione; la seconda è che Black Myth Wukong è stato realizzato da un piccolo studio indipendente, Game Science, con risorse limitate per far fronte ai 40 milioni di dollari, e ai quattro anni di lavoro, richiesti dallo sviluppo del gioco (una parte dei fondi è stata fornita dal colosso Tencent, che detiene una percentuale dello studio) .
A queste circostanze si potrebbe aggiungere il fatto che ultimamente i videogiochi sono finiti sotto la lente d’ingrandimento del Partito di Pechino, poiché alcuni dei titoli locali di maggior successo, come Genshin (di cui torneremo a parlare più avanti), fanno un sacco di soldi grazie alle cosiddette “loot boxes”, dinamiche molto simili al gioco d’azzardo (un problema che esiste anche in occidente). Anche per questo i videogiochi sono stati definiti “oppio dello spirito” dai media di stato cinesi (il richiamo all’oppio, in un paese con la storia della Cina, è particolarmente significativo). Dubito insomma che i produttori di Wukong abbiano ricevuto qualsivoglia sostegno dal governo. E tuttavia sospetto che a Xi Jinping Black Myth Wukong potrebbe non dispiacere. Le ragioni sono presto dette.
Una è che, nel giro di 24 ore dal lancio, il gioco ha venduto 4,5 milioni di copie, per un fatturato complessivo di circa 210 milioni di dollari. A oggi le copie vendute sono quasi 18 milioni, per un incasso vicino al miliardo. Una goccia nel mare, è ovvio, rispetto alle dimensioni del PIL cinese ma comunque un discreto contributo, soprattutto in un momento in cui le buone notizie sull’economia del paese scarseggiano. L’eventuale nascita di un’industria dei videogiochi “tripla A”, in grado di imporsi anche all’estero, andrebbe inoltre nella direzione del cosiddetto “sviluppo di alta qualità” indicato da Xi per il nuovo corso dell’economia cinese.
Un’altra ragione per cui Black Myth Wukong potrebbe incontrare i favori di Pechino è che il gioco si ispira a una delle storie più popolari e amate dai cinesi ovvero il “Viaggio in Occidente”, un testo risalente ai primi decenni dell’epoca Ming tra i più letti ed amati dai cinesi, che lo studiano già alle elementari (tanto che una rivisitazione animata del 2015 sbancò il botteghino). Sun Wukong, il “Monkey King” protagonista dell’avventura del videogioco, è uno dei personaggi principali, e più conosciuti, del romanzo in questione. Romanzo che a sua volta si nutre di una tradizione mitologica che affonda nei millenni di storia della cultura cinese.
Proprio per la sua enorme valenza mitologica, “Il viaggio in Occidente” è stato uno dei pochi “classici” della letteratura d’epoca imperiale a sopravvivere alla rivoluzione culturale di Mao, il quale pare apprezzasse in particolare proprio il personaggio del Re Scimmia. Wukong offre dunque ai videogiocatori di tutto il mondo una porta sia sulle radici più profonde della cultura cinese, sia sulle numerose stratificazioni, e reinterpretazioni, successive: l’età Ming, la (non) censura maoista, il presente (in cui peraltro la leggenda del Re Scimmia ha ispirato la saga di Dragon Ball).
Realizzare un videogioco a partire da un simile retaggio non è un’ambizione da poco, specie se si considera che uno dei videogiochi più popolari tra quelli che la Cina esporta globalmente, il già citato Genshin, fa di tutto per nascondere la sua “cinesità” e per sembrare un prodotto della tradizione manga-anime giapponese.
All’opposto di questo approccio, gli sviluppatori di Monkey King hanno posto enorme attenzione nel far sì che il gioco fosse il più autenticamente cinese possibile. Grande impegno è stato profuso nel cercare di catturare nel modo più accurato e realistico possibile elementi culturali ed estetici caratteristici della cultura cinese, incluse statue, monumenti, architetture realmente esistenti. Tanto che alcuni dei luoghi “rappresentati” nel gioco stanno assistendo in queste settimane a inauditi picchi di turismo interno, mentre le agenzie di viaggio in Cina hanno già segnalato un “effetto Wukong”: prenotazioni da parte di turisti occidentali per destinazioni che finora gli stranieri non consideravano granché.
Qualcuno ha addirittura definito Wukong un “tourism simulator”, un concetto che in passato è, tra l’altro, stato usato in proposito a una serie di videogiochi famosissima come Assassin’s Creed, con le sue ambientazioni storiche tra Italia rinascimentale, Londra vittoriana e Grecia antica. Aldilà degli impatti sul turismo (ma anche in virtù di essi) è evidente che un gioco come Wukong rappresenta per la Cina una enorme occasione per coltivare e proiettare “soft power” nel settore più avanzato, e ricco, dell’intrattenimento globale.
A fronte dell’enorme sviluppo economico e della crescente assertività geopolitica, la Cina del 2024 resta un pigmeo a confronto dell’influenza culturale che sono in grado di esercitare non solo gli Stati Uniti, ma anche alcuni paesi europei, il Giappone e di recente persino la Corea del Sud. Dopo qualche successo a livello cinematografico nei primi anni Duemila legato perlopiù al lavoro di Zhang Yimou, nell’epoca di Xi Jinping la Cina ha fatto ben pochi passi avanti sul fronte del “potere morbido” e della capacità di proiezione culturale. Anzi. È indubbio che la politica estera di “petto” di Xi, i sospetti sull’origine del covid e le immagini dei lockdown marziali, abbiano inferto gravi danni all’immagine della Cina negli ultimi anni.
Danni che non sarà certo un videogioco, seppure di enorme successo, a riparare. Tuttavia è significativo che gli stessi media di Stato cinesi che hanno paragonato i videogiochi all’oppio, stiano in questi giorni celebrando i record internazionali…di un videogioco.