Ben ritrovati! Mi auguro abbiate passato un piacevole agosto e che l’eventuale rientro non sia stato traumatico. Oggi parliamo di Germania (anzi di due Germania) e della importante vittoria elettorale dell’estrema destra in una di esse. Ma prima alcuni aggiornamenti.
• Qualche giorno fa sono stato ospite di SkyTg24, dove ho commentato l’andamento dei ricavi (stratosferici) di Nvidia, nonché la storia e le prospettive dell’azienda al centro della computazione AI. Il video, se vi interessa, si trova online qui.
• Stasera sarò a Mantova, ospite del Festival della letteratura, per un dialogo con Stefano Feltri sul tema “Dove va l’economia globale?”. Ad accompagnarci nella chiacchierata sarà Greta Ardito. Il tutto si svolgerà alle ore 19.00 presso Palazzo San Sebastiano. A questo link maggiori informazioni e le indicazioni per raggiungere l’evento.
• Infine mi fa piacere comunicarvi che La signora delle merci, il mio libro su logistica, supply chain, e (s)globalizzazione è attualmente in ristampa e sarà presto nuovamente disponibile in librerie ed e-commerce.
Come avrete letto o sentito la AfD (Alternativ Für Deutschland) ha vinto le elezioni regionali in Turingia e Sassonia. È la prima volta che un partito di estrema destra vince un’elezione in Germania da… beh lo potete immaginare. La notizia non è certo una sorpresa vista la costante, e ormai decennale, crescita dei consensi dell’AfD nei due Länder in questione. Non sono una sorpresa in fondo nemmeno le ragioni del successo.
Benché storicamente Turingia e Sassonia siano due dei cuori del meglio che la cultura tedesca ha offerto (la Turingia è stata, tra i tanti, patria di Goethe, Shiller e Bach), oggi i due stati sono soprattutto il manifesto di un fallimento. Il fallimento della piena integrazione (sociale, economica e politica) tra regioni dell’ex Germania est e regioni dell’ex Germania ovest. A trentaquattro anni dalla riunificazione esistono ancora due Germanie, visibili in modo incredibilmente netto su qualunque mappa del paese.
Se questa era la mappa delle due Germanie prima della riunificazione.
Così appare, ad oggi, la mappa della distribuzione regionale del PIL (colore chiaro = PIL più basso).
Questa invece la mappa che racconta il tasso di disoccupazione.
Questa infine è la mappa che mostra i flussi di migrazione interna (più il colore + caldo = più le persone se ne vanno)
Ci sono decine di mappe del genere, basate su decine di indicatori. Pressoché in tutte, le regioni dell’ex DDR risultano nettamente più svantaggiate di quelle della ex Germania ovest. È una divisione netta e clamorosa. Tanto più se consideriamo che il governo centrale ha avuto più di trent’anni di tempo per rimarginarla. E non solo ha clamorosamente fallito ma, secondo molte analisi, proprio le politiche economiche perseguite negli ultimi trent’anni da Berlino – le stesse lungamente ammirate per il loro contributo alle notevoli performance dell’economia tedesca – avrebbero contribuito a cristallizzare una situazione di forte disparità tra est e ovest del paese.
La cosiddetta “Agenda 2010”, il programma di riforme e liberalizzazioni del mercato del lavoro voluto da Schröder a inizio anni Duemila, viene per esempio oggi incolpato di avere istituzionalizzato l’elevato tasso di precarietà e la stagnazione dei salari che attualmente caratterizza l'economia dell’est del Paese. Allo stesso modo, tre mandati merkeliani all’insegna di una politica economica mirata all’iper-competitività nelle esportazioni hanno finito per creare un effetto feedback per cui la base industriale dell’ovest – che partiva da una ovvia situazione di vantaggio – ha finito per cannibalizzare le risorse di quella dell’est. Che è così rimasta sottosviluppata e anzi ulteriormente impoverita, non solo di capitali finanziari ma anche umani (vedasi il grafico, poco sopra, sui flussi migratori). Il risultato è che oggi la base produttiva della Germania est è principalmente legata a piccole imprese con uno scarso contenuto tecnologico (negli ultimi cinque anni il trend si è leggermente invertito, complici anche gli investimenti esteri nell’ex DDR di aziende come Tesla, Intel e Tsmc, e la nascita di “Silicon Saxony”, ovvero un’associazione di aziende che rappresenta l’epicentro della produzione tedesca di… microchip).
Anziché aiutare le due Germanie a convergere, come puntavano a fare, le politiche tedesche degli ultimi anni, anzi decenni, le hanno portate a divergere ancora di più. Il risultato è che gli abitanti rimasti a vivere nelle regioni dell’est – mediamente più anziani e meno istruiti di quelli emigrati a ovest – hanno iniziato a sentirsi trattati da cittadini di serie B e così, con un meccanismo già visto all’opera molto spesso, si sono messi a cercare i colpevoli delle loro sventure non tra chi stava meglio di loro ma tra chi stava peggio. Su tutti: gli immigrati, incluso il milione di rifugiati siriani accolti a da Merkel nel 2015. Immigrati che, nella psicologia del tedesco che vota AfD, vengono ritenuti colpevoli a prescindere, sia che si integrino troppo (rubano il lavoro, abbassano il salario), sia che non si integrino affatto (la fobia del terrorista, alimentata da fatti come quelli, recenti, di Sollingen).
A cogliere la direzione del vento, a partire da metà a anni Dieci, è stata proprio l’AfD, che da partito euroscettico e quindi prevalentemente interessato a questioni economiche che era alla sua nascita, si è via via trasformato in un partito sempre più legato a posizioni culturali/identitarie/razziste (nella mappa qui di seguito: la progressione dell’AfD tra 2013 e 2024. Notare come dopo la svolta “identitaria” del 2015 il consenso si radichi sempre più proprio a est).
A dirla tutta, anche quando era un “partito di economisti”, l’AfD conteneva già in nuce una matrice xenofoba. Esso infatti cavalcava l’insoddisfazione della pancia del paese riguardo alla gestione – ritenuta non abbastanza severa e attenta all’interesse nazionale – della crisi del debito sud-europeo. Un’insoddisfazione in cui alle considerazioni economiche era sempre mescolato anche un certo grado di disprezzo identitario degli europei meridionali.
Tuttavia dei temi economici che dovrebbero stare a cuore a un esponente della working class tedesca dell’est, nell’intarsio ideologico dell’AfD resta oggi poco, pochissimo. Non si parla di manovre ridistributive, di aumento della spesa assistenziale o di cose simili. Quella dell’AfD è ormai una politica di pura reazione che risponde bene ai sentimenti di profonda rabbia e frustrazione che da tempo covano nella Ostdeutschland.
Ma perché nei decenni i due grandi partiti tradizionali della Germania democratica si sono rivelati così inadeguati ad ascoltare, intercettare ed eventualmente domare questa marea emotiva? Anche qui entra in gioco la Storia. Spesso, nell’analisi delle cose tedesche (e soprattutto di quelle dell’ex DDR), ci si dimenticano due grandi fatti: il primo è che, come l’Italia, la Germania è una nazione relativamente giovane, con alle spalle secoli di “localismo” (seppure, nel suo caso, integrati nell’imponente sovrastruttura del Sacro Romano Impero). La seconda è che, di fatto, dall’unificazione nel 1871 a oggi, i territori dell’ex DDR hanno vissuto più tempo sotto forme di governo autoritarie e dirigiste che in un contesto democratico.
Queste circostanze storiche significano due cose. La prima è che, soprattutto in momenti di difficoltà, i tedeschi dell’est tendono più di quelli del nord a rivolgersi alla propria identità regionale piuttosto che a quella nazionale (grafico sotto). La seconda è che i principali partiti tedeschi (SPD - CDU - FDP) non solo si sono tutti formati nelle città dell’ovest ma non hanno fisicamente avuto il tempo di aderire e attecchire sul sostrato socio-politico della Germania est. Tanto che oggi la principale alternativa a una continua crescita dell’AfD, e l’unica via per sbarrarle la strada al soglio dei governi regionali, non è un’alleanza tra i maggiori partiti ma l’ascesa di un nuovo partito di estrema sinistra – il BWS di Sahra Wagenknecht – al cui interno, quasi in stile Goodbye Lenin, ci sono persino nostalgici della DDR (la stessa AfD, perlomeno a est, ha peraltro incorporato al suo interno alcune forme di comunicazione politica dell’ex regime).
C’è poi un ulteriore retaggio storico da considerare e ovvero che, in cinquant’anni di DDR, la maggioranza dei cittadini dell’est si sono rapportati al governo comunista come un Grande Fratello di cui diffidare e, se possibile, contro cui protestare in un modo o nell’altro. È un’attitudine al sospetto che è per esempio riemersa in occasione del covid. E così, come accaduto in America con Trump, la AfD ha avuto buon gioco a presentare i maggiori partiti storici come una forma di “mainstream” politico che ha a cuore soltanto gli interessi delle proprie basi elettorali all’ovest, quasi essi fossero dei corpi estranei – degli occupanti – della Ostdeutschland.
Estremizzando questa tesi, alcuni sociologi hanno di recente parlato di Ossifikation. Un gioco di parole tra “Ossi”, il nomignolo con cui vengono chiamato gli abitanti dell’est, e il processo di ossificazione, indurimento, dei tessuti. Secondo questa tesi, che ribalta un po’ la mia analisi fino a qui (ma in realtà ritengo soprattutto la conmplementi), l’ascesa dell’AfD (e quella dei populisti di sinistra) non è solo un riflesso di una “immatura” reazione emotiva di fronte alle disuguaglianze, vere o presunte, che patiscono i cittadini dell’est, ma è anzi la manifestazione della definitiva maturazione della società dell’Ostdeutschland, che, dopo tre decenni “in cerca d’autore”, si sarebbe semplicemente riscoperta “divergente”, anche culturalmente, dal resto della società tedesca.
bravissimo, chiarissimo, dovrebbe essere altrettanto chiaro però anche quando parla in TV senza mangiarsi le parole
Ho degli amici nel Palatinato e mi hanno fatto una grande impressione l'ultima volta perchè sostengono che ormai la politica è corrotta e sono corrotti dal potere quelli che comandano a qualunque livello.
Chiarisco subito: non sono amici di destra e non amano l'AfD ma se lo dicono anche loro che vivono ad Ovest, perchè non dovrebbero pensarlo quelli dell'Est che hanno convissuto con la corruzione per tanti anni?