Macro | 🇹🇼 Taiwan, tra chip e portaerei / 1 🇹🇼
Un'isola al crocevia della storia contemporanea.
Un promemoria: domenica 16 giugno alle 10.55 sarò ospite del Wired Next Festival.
Presso il Cortile delle Armi del Castello Sforzesco mi confronterò con Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano e membro del Comitato della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la definizione delle strategie nazionali per l’IA, e Alberto Sangiovanelli Vincentelli, professore di ingegneria informatica presso l'Università di Berkeley e presidente della fondazione Chips.it.
Modererà Luca Zorloni, responsabile area business di Wired.
Tema: ovviamente i chip e tutto quello che gli sta intorno. Come sempre mi auguro di vedervi numerosi.
Sabato scorso, di chip ho parlato anche in diretta a Eta Beta, il programma sull’innovazione di Radio Rai 1 di cui qui potete riascoltare la puntata.
E ora veniamo a Taiwan…
Qualche giorno fa la rivista L’Indiscreto ha pubblicato un lungo estratto dal mio nuovo libro Il re invisibile.
Per la precisione si tratta del quinto capitolo, interamente dedicato alla storia di Taiwan e alle vicende che l’hanno portata a diventare epicentro delle catene del valore dei chip in virtù della presenza sull’isola di TSMC, un’azienda fondamentale nei processi di manifattura dei semiconduttori più avanzati, poiché è l’unica al mondo in grado, al momento, di garantire elevata efficienza anche per i processi produttivi più innovativi.
Ho deciso quindi di “estrarre un estratto” dal testo pubblicato da L’Indiscreto, nella speranza di dare un’idea dell’importanza che questa azienda riveste non solo per l’industria tecnologica ma, direi, per l’economia planetaria.
[N.B. :
Questo è il primo di una serie di articoli sulla questione taiwanese. Il secondo sarà dedicato ai sistemi di deterrenza (militare, politica, economica) che, dal dopoguerra, hanno scongiurato che Pechino invadesse l’isola, scatenando una guerra che porterebbe al coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, con colossali rischi di escalation.
Secondo numerosi analisti tali sistemi di deterrenza tuttavia si sono fortemente indeboliti negli ultimi anni – principalmente perché la Cina ha colmato gap strategici specifici – mentre, dal punto di vista cinese, si sono rafforzati gli incentivi a favore di un’eventuale invasione (e ciò, come vedremo, ha a che fare anche con i chip). Ne parleremo tra una settimana ma prima ecco l’estratto su TSMC. ]
Il piano di Morris Chang (lo storico fondatore di TSMC, nella foto qui sopra ndr) era questo: una fabbrica di semiconduttori che non si occupasse d’altro che della manifattura di chip progettati da terze parti. Quell’idea ha in seguito fatto molta strada ma, all’inizio degli anni Ottanta, era ancora quasi un’eresia. Chang aveva provato a convincere della sua bontà tutte le più grandi aziende di semiconduttori degli Stati Uniti, a cominciare da Texas Instruments, ma aveva incontrato solo porte chiuse e disapprovazione. Nessuno credeva che un simile modello d’impresa potesse funzionare. La leggenda vuole che Gordon Moore disse a Chang: “Morris, hai avuto un sacco di buone idee durante la tua carriera ma questa non è una di quelle”. Chang tuttavia non demorse né abbandonò i suoi propositi, convinto che fosse solo questione di aspettare tempi più maturi e l’occasione giusta. Che arrivò, nel 1985, sotto forma di un incontro col leggendario ministro dell’Economia Kwoh-Ting Li, il “padre del miracolo taiwanese”.
Li offrì a Chang pieni poteri, e un assegno virtualmente in bianco, per lanciare una nuova azienda di semiconduttori che avrebbe fornito supporto produttivo alla galassia di piccole aziende di elettronica taiwanese che non avevano capitali e mezzi per fabbricare in casa tutti i propri componenti. Era esattamente ciò che aveva da tempo in mente Chang, solo su una scala molto più grande, non limitata a Taiwan ma estesa a tutto il mondo. Per far partire il progetto, lo Stato di Taiwan mise il 48% del capitale iniziale e il resto lo raccolse, chiedendolo in modi molto diretti e convincenti, dalle tasche delle più facoltose famiglie dell’isola. Con i suoi primi uffici limitrofi a quelli di Umc a Hsinchu, nel 1987 era pronta a decollare l’astronave di Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), la fabbrica di semiconduttori destinata a diventare la più importante foundry di chip al mondo. Per il lancio mancava solo una cosa: i clienti. Ora che aveva una propria azienda da mettere sul piatto della bilancia, Chang tornò negli Usa e fece il giro delle sette chiese dell’industria tecnologica americana, nella speranza di trovare qualcuno che volesse appaltargli la produzione dei propri chip. Ma esattamente come negli anni precedenti, quando aveva cercato qualcuno che credesse nel potenziale teorico della sua idea, non trovò nessuno disposto a prestargli ascolto neppure ora che aveva un’azienda in mano. Tsmc rischiava insomma di morire ancora prima di nascere o, quantomeno, di dover rivedere pesantemente i concetti da cui era partita.
Come si sa la Storia ha un modo tutto suo di regolare i propri conti e così, in uno dei momenti chiave della storia recente di Taiwan, trecento anni dopo la Voc, le vicende dell’isola tornarono a incrociarsi con quelle di una multinazionale olandese. Fu infatti Philips, il noto marchio dell’elettronica con sede a Eindhoven, la prima, e inizialmente anche l’unica, grande azienda a decidere di scommettere su Tsmc. Con un accordo di joint venture molto ambizioso siglato nel 1987, Philips non solo investì 58 milioni di dollari in Tsmc ma condivise con l’azienda di Chang strumenti, specifiche tecniche di produzione e proprietà intellettuali dei suoi chip. Per Tsmc fu il momento della svolta: riuscendo a dimostrarsi qualitativa e affidabile dal punto di vista del rispetto delle proprietà intellettuali dei clienti, convinse altre aziende ad affidarsi al suo modello di fonderia “pure play”. La crescita di Tsmc fu da allora costante per tutti gli anni Novanta ma il vero cambio di passo arrivò sul finire del decennio successivo, con l’esplosione del mercato degli smartphone. In quel frangente Morris Chang ritornò addirittura dalla pensione per arringare i dipendenti di Tsmc – con tanto di citazioni dall’amato Shakespeare – alla conquista della balena più ambita del mare: Apple e la fornitura di chip per iPhone e iPad. Due prodotti che Intel, con un errore di valutazione grosso lano, aveva rinunciato a servire e che comportavano volumi di produzione inauditi. Al punto che, a metà anni Dieci, Tsmc ha investito 9 miliardi per la costruzione di una fab interamente dedicata a un singolo cliente, l’azienda di Cupertino per l’appunto.
Per capire quanto Tsmc sia cruciale è d’uopo sciorinare numeri e percentuali. Per esempio, 92%: la quota della manifattura globale di chip ai nodi più avanzati detenuta da Tsmc. Un terzo: la percentuale di semiconduttori, di qualunque tipo, complessivamene prodotti nel mondo fabbricati da Tsmc. 60mila: i dipendenti di Tsmc, 20mila dei quali impiegati nella ricerca di difetti dei chip, difetti di dimensioni tali per cui se un semiconduttore fosse il pianeta Terra, il difetto sarebbe una pallina da tennis. È anche grazie a questo tipo di attenzioni, e al bagaglio di esperienza accumulato da Tsmc che l’azienda taiwanese riesce a garantire uno yield elevatissimo anche per i chip più sofisticati e sperimentali. Parliamo di una resa otto volte superiore a quella del concorrente più vicino. Che è anche la ragione per cui, per esempio, nel 2022 Nvidia ha spostato l’intera produzione dei suoi chip da 3 nanometri da Samsung a Tsmc. 56mila: i brevetti internazionali attivi che detiene Tsmc. 536 miliardi: la capitalizzazione complessiva di mercato dell’azienda taiwanese nel momento in cui scrivo (fine 2023). 100 miliardi: il piano d’investimenti, spalmato su un periodo di tre anni, che Tsmc ha avallato a fine 2021 per ampliare le sue capacità produttive, anche attraverso la costruzione di nuovi stabilimenti fuori da Taiwan.
Sono statistiche impressionanti che giustificano metafore e iperboli con cui sono spesso abbellite le cronache su Tsmc (inclusa quella che state leggendo). Una delle più ripetute viene attribuita al Ceo di Nvidia, secondo il quale per chi vive di chip “per prima cosa viene l’aria e poi viene Tsmc”. Il che aiuta a capire perché, sebbene in pochi fuori dal settore l’abbiano sentita nominare, secondo parecchi osservatori, inclusa la rivista Time, il “brand anti-brand” di Tsmc sia da considerare il “più importante al mondo”. E del resto basta guardare quali sono le undici aziende che al momento precedono Tsmc nella classifica globale per capitalizzazione complessiva. Con l’eccezione di Aramco (petrolio) e Berkshire Hathaway (holding) sono tutte aziende che fanno un uso iper-intensivo di chip prodotti dalla stessa Tsmc. Non è insomma eccessivo dire che l’azienda di Chang sia il motore nascosto del capitalismo tecnologico globale, e non soltanto di quello strettamente tecnologico. Questo poiché, in generale, quella dei semiconduttori è oggi più che mai l’“industria delle industrie”, il settore “abilitante di ogni attività produttiva avanzata”. Se il contributo di Tsmc scomparisse dall’oggi al domani, o per qualche ragione la foundry non potesse più esportare i propri chip, le aziende più importanti del pianeta subirebbero un contraccolpo pressoché incalcolabile. Se consideriamo che Tsmc produce il 37% dei chip logici contenuti nei nostri laptop, cellulari, data center, elettrodomestici, automobili, un’interruzione totale della sua produzione significherebbe ritrovarsi di colpo con un 37% in meno di potenza di computazione “basilare” sul pianeta (e la percentuale sarebbe molto più alta se prendessimo in considerazione la computazione avanzata). Come ha scritto Chris Miller: “Di questi tempi quando scrutiamo cinque anni avanti speriamo di essere alle prese con la costruzione di reti 5G e di Metaversi, ma se Taiwan venisse sconnessa potremmo ritrovarci a far fatica ad acquistare lavatrici”. Ci vorrebbero almeno cinque anni per riassorbire interamente altrove la quota di produzione di chip di Tsmc. Per l’economia mondiale, nel frattempo, i danni non si calcolerebbero nelle centinaia di miliardi ma nelle migliaia
Un altro estratto circa la struttura organizzativa di TSMC:
Al di là della geopolitica, l’importanza di Tsmc per il mondo è in primis tecnologica. Oggi l’azienda è infatti l’unica in grado di gestire gli strumenti e padroneggiare le complessità tecniche coinvolte nella manifattura di chip da 2 nanometri, il prossimo nodo nel processo di miniaturizzazione dei transistor. Questo è anche un riflesso della particolare struttura strategica che, per volontà di Chang, negli anni l’azienda ha sviluppato. Una struttura che si basa, essenzialmente, su una profonda e altamente fiduciaria integrazione con la sua intera filiera, sia dal lato dei fornitori che da quello dei clienti. È quella che Chang chiama la “grand alliance” e che, tra gli innumerevoli altri, include i più importanti programmatori di software per semiconduttori, i designer di chip più innovativi ed esigenti al mondo (inclusi Nvidia e Apple) e, ovviamente, Asml e le sue macchine. Negli anni, Tsmc ha costruito un ecosistema di standard che permette ai diversi protocolli tecnologici di queste aziende di dialogare nel modo più fluido ed efficiente all’interno del paradigma produttivo che la stessa Tsmc ha implementato. Ed è questo forse il più grande segreto, e punto di forza, di Tsmc: attraverso il suo sistema di standard ha vincolato i protagonisti della sua filiera a rispettare una serie di compatibilità che, tuttavia, smettono di funzionare in assenza dell’intermediazione di Tsmc. In questo senso la foundry taiwanese è uno dei modelli più puri di azienda figlia dei presupposti tecnico-industriali della globalizzazione. Più che una semplice fabbrica essa è, in un certo senso, il terminale e la coordinatrice di una intera supply chain, non solo per quanto riguarda la manifattura ma anche, a ritroso, per tutti gli altri aspetti della filiera, fino al design dei chip. Una dimostrazione di come, all’interno di catene di valore con elevati livelli d’interdipendenza, abbia sempre meno senso operare una netta separazione tra processi ad alto o basso valore aggiunto. Osservata nel complesso, Tsmc non è solo la più importante fabbrica di chip al mondo ma anche l’ombelico del mondo dei semiconduttori: il luogo in cui si concentra il maggiore sapere pratico sulla produzione di chip sul nostro pianeta. In questo senso, come dimostra il ritmo straordinario a cui sforna brevetti, Tsmc non è semplicemente una fonderia ma il più influente laboratorio ingegneristico dell’intera industria dei semiconduttori, perlomeno per quanto riguarda le problematiche specifiche ai processi di manifattura. Del resto, come ricorda Morris Chang: “Il budget di ricerca di Tsmc e dei suoi primi dieci clienti è superiore alla somma di quelli di Intel e Samsung”. Se l’esperienza accumulata da Tsmc e il sistema di standard e interoperabilità della sua filiera venissero meno, verrebbero meno anni di progressi nel campo della produzione di chip. Progressi che hanno reso materialmente fattibili semiconduttori al limite estremo della fisica.