Benvenuti a questa prima “breve” del nuovo corso di Macro.
TikTok e la fiducia nel “nostro” sistema.
Cominciamo dal discusso “TikTok bill”, la mozione con cui la Camera dei rappresentanti USA intende spingere ByteDance, internet company cinese proprietaria di TikTok, a vendere il social media se vuole continuare a esistere negli USA. La decisione è arrivata al termine di un addensarsi di fumo persecutionis che dura ormai da anni e che ha visto, tra le altre cose, un primo lunghissimo interrogatorio , esattamente un anno fa, a Shou Zi Chew, il fondatore di ByteDance e un altro, più breve e recente, che, sospetto, resterà ai posteri per questo momento qui di seguito.
Benché debba essere confermato dal Senato – e non è scontato – il passaggio del bill alla Camera rappresenta una svolta importante nelle politiche internet degli USA, oltre che nella “guerra fredda” sinoamericana. In quanto tale, è stato debitamente commentato da ChinaTalk, il miglior podcast su questi temi.
Ospite della puntata è Ben Smith, ex pezzo grosso di Politico, Buzzfeed e NYTimes, tra le persone più preparate e interessanti da ascoltare quando si tratta delle relazioni tra internet, media e potere. Tra gli scambi più interessanti della conversazione segnalo questi due:
Ben Smith: […] un dettaglio che penso sia interessante: TikTok ha raggiunto il picco. Gli utenti attivi giornalieri si stanno riducendo. Due anni fa era una tendenza culturale enorme. Era una cosa importante l'anno scorso. Queste cose vanno e vengono - e quindi, ovviamente, proprio per la natura del Congresso e della nostra cultura, stiamo discutendo di questo mentre TikTok continua la sua lunga, inevitabile scivolata verso il diventare Vine.
Jordan Schneider: […] Tianyu Fang, uno studente di Stanford, ha recentemente scritto un pezzo su questo argomento. La sua linea era: “Il divieto di TikTok apparentemente legittimerà il modello cinese di governance di Internet, che vede le piattaforme straniere come minacce intrinseche alla stabilità politica”. Penso che valga la pena prendere sul serio questo argomento […]
Ben Smith: Riflette una reale mancanza di fiducia interna negli Stati Uniti e in Gran Bretagna in questo momento – sul fatto che il nostro sistema sia davvero così evidentemente superiore da poter sopportare qualche discorso comunista, e che i nostri figli non diventeranno tutti comunisti perché qualche stupida app glielo dice.
Le persone negli Stati Uniti ora non pensano che il nostro sistema possa resistere a un po’ di propaganda e pensano: “Forse il nostro sistema non può resistere a un po’ di propaganda e dobbiamo vietarlo”. Voglio dire, potrebbero avere ragione. Non sto dicendo che sia una visione sbagliata, ma riflette, credo, una vera e profonda insicurezza riguardo al sistema americano in un quadro molto ampio.
Perché i russi sono così bravi a produrre missili?
Rhodus è un centro di ricerca OSINT, ovvero che lavora su fonti open source (cioè liberamente consultabili da web), specializzato nell’indagine e nella ricostruzione di alcune attività cruciali della macchina bellica russa. Il loro ultimo report è dedicato alla produzione missilistica e di proiettili per artiglieria pesante in cui, come saprete, la Russia è oggi nettamente più efficiente di Europa e USA.
Analizzando dati, bilanci e persino annunci di lavoro per figure specializzate e dettagli all’interno di fotografie e video, il report di Rhodus ricostruisce la supply chain dei componenti essenziali per la produzione di artiglieria e cerca di spiegare come la Russia sia riuscita, negli ultimi dieci anni, a costruire un’industria missilistica a prova di sanzioni.
Il report si può leggere qui.
N.B.: Non è chiaramente il contenuto più accessibile del mondo ma, a prescindere dalla guerra e dall’industria in questione, lo consiglio a chiunque voglia fare un’immersione dettagliata nel funzionamento di una supply chain contemporanea.
Una passeggiata in una tranquilla “cittadina” cinese di quarto livello
Come forse saprete, i media cinesi tendono a suddividere le città del paese per categorie corrispondenti al loro livello di sviluppo economico, secondo un criterio che tiene conto di diversi parametri (PIL, indice di sviluppo umano, capital stock, tipo di attività che ospitano etc). All’apice, il livello 1, ci sono Pechino, Shanghai, Shenzhen e Guangzhou e a seguire altre 340 città (quasi tutte da più di un milione di abitanti) suddivise in ulteriori 3 livelli.
Non è dato sapere se questa suddivisione abbia la benedizione del governo (è ragionevole supporre di sì) ma essa è ormai entrata nella vulgata sulla Cina, dentro e fuori il paese. Il salire di grado è diventato, per le città, obiettivo e motivo di vanto, mentre occupare il gradino più basso – il quarto – è diventata ragione di costernazione e un invito a fare meglio (motivo per cui numerosi osservatori sospettano che al governo di Pechino non dispiaccia troppo l’effetto psicologico della classifica).
Questo video non solo mostra una lunga passeggiata in una città di quarto livello (queste video-camminate sono diventate uno dei miei contenuti di YouTube preferiti) ma spiega diverse cose della quotidianità di una città del genere. In questo caso si tratta di YiBin, una “cittadina” da 4,5 milioni di abitanti dello Sichuan.
In attesa dell’uscita, a maggio, del mio nuovo libro su storia, industria e geopolitica dei microchip, vi ricordo La Signora delle merci, il mio libro sul ruolo della logistica, dei trasporti nel sistema geo-economico globale.
Qui potete leggere una conversazione che ho avuto con Raffaele Alberto Ventura in merito a questi temi, e qui una bella recensione firmata da Alessandro Aresu sulla Stampa.