Γ andata come mi aspettavo, con la vittoria di Trump che sembra suggerire che il malessere americano β una mescola di nostalgia e accelerazione senza bussola β Γ¨ entrato forse in una fase irreversibile.
Posto che sulle questioni che non mi fanno dormire la notte non riponevo fiducia neppure nellβalternativa, Γ¨ chiaro che β in tempi di polveriere β non rasserena il fatto che abbia vinto il candidato che passa piΓΉ tempo giocando con lβaccendino.
Tra le politiche piΓΉ incendiarie di Trump ci sono sicuramente le sue idee sullβinterazione tra economia domestica e commercio internazionale. Idee che si possono riassumere in un motto: βpiΓΉ tariffe e meno tasseβ.
βTariffs are beautifulβ
Usando il suo lessico molto semplificato, Trump ha definito le βtariffeβ con aggettivi che un nonno potrebbe usare per i nipotini. In diverse occasioni le ha chiamate βstupendeβ, βbellissimeβ, βgrandioseβ, persino βadorabiliβ.
In campagna elettorale Trump ha promesso lβimposizione di una tariffa base oscillante tra il 10% e il 20% su tutte le importazioni (incluse quelle UE) e, soprattutto, una serie di tariffe tra il 60% e il 100% sugli import dalla Cina.
Se terrΓ fede a questi numeri, si tratterΓ di dazi che non si vedevano dagli anni Trenta dello scorso secolo β lβormai famigerato Smoot-Hawley act β e che faranno impallidire le βtrade warsβ del suo primo mandato.
Conseguenze per lβeconomia americana
Allβinizio, le tariffe potrebbero sembrare una buona mossa.
Alcuni settori potrebbero trarre beneficio da una riduzione della concorrenza. Alcune imprese internazionali potrebbero decidere di portare la produzione negli Stati Uniti per aggirare le tariffe, incentivate anche dalla politica fiscale di Trump che punta a ridurre il carico sulle imprese e sui grandi redditi anche per stimolare il rimpatrio di capitali e industrie negli USA.
Tuttavia questa politica ha costi significativi che si farebbero sentire in tempi brevi, da un lato sotto forma di aumento dei prezzi al consumo a causa delle tariffe, e quindi di inflazione (la scure di Biden/Harris); dallβaltro di deficit per le minori entrate fiscali (che difficilmente verrebbero interamente compensate dalle tariffe).
Per contenere questi effetti indesiderati Trump, che ha dichiarato di volere maggiore voce in capitolo in merito alle scelte della Fed, potrebbe cominciare a giocare con i tassi dβinteresse (con interventi deflativi o espansivi a seconda degli scenari creati dalle sue altre politiche economiche), destabilizzando il dollaro e i mercati valutari.
Unβulteriore strategia per ridurre il deficit potrebbe essere di operare tagli alla spesa pubblica. BenchΓ© Trump li abbia negati, il suo βnuovoβ alfiere, Elon Musk, da tempo parla di una fase di temporanea βausterityβ, ha molte idee in merito e si Γ¨ esplicitamente candidato come una specie di super-consulente per βlβefficienza della spesa pubblicaβ.
Un noto blogger neoliberal, Noah Smith, uno che di certo non trema di fronte alla parola βausterityβ ha di recente analizzato il βpianoβ di Musk e lo ha inquadrato cosΓ¬:
Mentre i tagli alle tasse andrebbero principalmente a beneficio dei piΓΉ ricchi, i tagli alla spesa colpirebbero probabilmente i programmi sanitari come Medicaid e i sussidi di Obamacare, che aiutano soprattutto le fasce piΓΉ deboli della popolazione. Questo significa che, in sintesi, i piΓΉ ricchi beneficerebbero di significativi vantaggi fiscali, mentre i meno abbienti subirebbero riduzioni nei servizi essenziali, e tali effetti distributivi negativi sarebbero duraturi, non temporanei.
CβΓ¨ infine il fatto che decenni di studi hanno mostrato come i muri tariffari abbiano un effetto deprimente sulla produttivitΓ .
La protezione dalla competizione disincentiva infatti gli investimenti nellβinnovazione e tende a mantenere in vita piΓΉ a lungo pratiche produttive meno efficienti e/o aziende che in realtΓ sono giΓ βzombieβ, favorendo cosΓ¬ la proliferazione di attivitΓ a basso valore aggiunto che aumentano sΓ¬ i livelli di occupazione ma garantiscono bassi salari
Conseguenze per lβeconomia cinese
Per la Cina, tariffe indiscriminate ed elevate come quelle di Trump potrebbero avere un impatto significativo sul settore manifatturiero.
Tuttavia le conseguenze potrebbero non essere solo negative. In risposta la Cina potrebbe accelerare la transizione verso un modello economico piΓΉ autosufficiente e focalizzato sulla domanda interna e sulla cosiddetta strategia della βdoppia circolazioneβ, che perΓ² finora ha dato meno frutti di quanto sperasse Xi Jinping.
In tal senso diventerebbe ancora piΓΉ fondamentale valutare sul campo gli effetti, lβintensitΓ e la durata delle politiche di βstimoloβ, decise di recente, e solo dopo lunghi tentennamenti, dal Partito.
La chiusura del mercato americano potrebbe inoltre portare la Cina a cercare di consolidare la sua posizione in altre regioni, promuovendo accordi commerciali e investimenti infrastrutturali (come nella Belt and Road Initiative) per espandere i propri mercati in Asia, Africa ed Europa orientale.
Come insegna la strategia βmalteseβ di BYD, quando ti sono preclusi i grandi mercati tanto vale fare incetta di tutti quelli piccoli. Non Γ¨ detto che numericamente non convenga.
Conseguenze per lβeconomia europea
LβEuropa potrebbe risentire delle tariffe trumpiane particolarmente in settori come quello automobilistico, giΓ in profonda sofferenza.
Ci sarebbero inoltre da considerare gli effetti politici di una simile situazione. Una delle economie che rischierebbe maggiormente di soffrire Γ¨ quella tedesca, dove giΓ operano formazioni politiche (AfD e non solo) abili a fare leva sul peggioramento delle condizioni economiche del paese.
Si creerebbe così un circolo vizioso (o virtuoso, dal loro punto di vista) per cui i partiti più idonei a capitalizzare sui danni fatti da Trump, sarebbero gli stessi che considerano Trump un alleato.
Il tema dei dazi si potrebbe inoltre saldare a quello di unβeventuale indebolimento della NATO, contribuendo a rendere piΓΉ seducenti presso fette dellβopinione pubblica la prospettiva di allineamenti βalternativiβ.
Conseguenze globali (o meglio logistiche)
Lβincertezza associata alla politica tariffaria di Trump rivela un ulteriore problema per il commercio internazionale: la minaccia di misure protezionistiche porta le aziende a pianificare la logistica a breve termine, compromettendo le strategie di lungo respiro.
Peter Sand, Chief Analyst di Xeneta, ha evidenziato come la risposta immediata degli spedizionieri americani sarebbe quella di anticipare le importazioni prima dellβentrata in vigore dei nuovi dazi.
Nel breve periodo, il frontloading delle merci potrebbe consentire di evitare una parte delle tariffe piΓΉ elevate, ma, come giΓ accaduto nel 2018, questa pratica comporterebbe un forte aumento della domanda sulle principali rotte commerciali verso gli Stati Uniti.
Dato che la catena di approvvigionamento oceanica Γ¨ giΓ sotto pressione, questa impennata della domanda genererebbe un incremento delle tariffe per i container dagli effetti ulteriormente inflativi.
La volatilitΓ e lβincertezza generata dalle tariffe sono insomma potenzialmente βtossicheβ anche per gli apparati tecnici e le infrastrutture logistiche da cui dipendono le catene di approvvigionamento.
Guerre commerciali
Un ulteriore problema delle tariffe Γ¨ che i paesi che le subiscono di solito non stanno a guardare.
Γ molto probabile che Cina e UE risponderanno agli eventuali dazi trumpiani, imponendo a loro volta tariffe su numerosi prodotti americani.
Una βguerra commercialeβ che si sommerebbe ai provvedimenti giΓ in atto tra i tre blocchi (per esempio sui veicoli elettrici) e che avrebbe effetti negativi per le economie su entrambe le sponde dellβAtlantico e del Pacifico.
Un ulteriore preoccupazione β e, fin dal Seicento, lβesperienza storica Γ¨ maestra in tal senso β Γ¨ che i mercantilismi spesso sono catalizzatori di tensioni e attriti di altro genere.
Feticizzando lo scontro tra capacitΓ industriali e sublimandolo come prova di forza dei βpopoliβ, nutrono ed esasperano gli istinti chauvinisti delle societΓ con esiti imprevedibili.
A tal proposito va tuttavia precisato che, negli ultimi anni, anche le politiche di Biden, mirate in modo dichiarato al contenimento geopolitico e tecnologico della Cina, hanno contribuito ad innalzare enormemente il livello di tensione tra le due superpotenze.
Una politica che tornasse a porre la questione, anche solo a livello retorico, in termini strettamente commerciali e negoziali, potrebbe quindi costituire, per certi versi, una sorta di de-escalation rispetto alla situazione attuale che Γ¨ invece caratterizzata da inquietanti aspetti ideologici.
In generale comunque la Storia insegna che, con poche eccezioni, maggiori sono le interdipendenze e i rapporti commerciali tra paesi e minori sono le probabilitΓ che essi si facciano guerra. E viceversa.
Un bilancio dellβera Biden
Credo di avere giΓ lasciato trapelare che non sono particolarmente dβaccordo con i ritratti nostalgici della Presidenza Biden. Troppi fatti contraddicono le percezioni e troppe narrazioni non corrispondono ai fatti.
In proposito vi consiglio assolutamente di leggere il saggio/bilancio di Adam Tooze sulla London Review of Books. Γ un pezzo straordinario.
Ribadendo il consiglio a leggerlo per intero vi riporto qui un estratto tradotto, con qualche taglio per brevitΓ , del lucidissimo capitolo conclusivo (grassetti e link esplicativi sono miei) in cui si toccano, evidentemente, temi molto cari a questa newsletter.
La forza che al contempo espande e mette alla prova il potere degli Stati Uniti Γ¨ la tecnologia. Mentre il lancio dei primi smartphone e dei social media ha caratterizzato la presidenza Obama, e Trump Γ¨ stato il presidente di Twitter, il mandato di Biden potrebbe essere ricordato per il boom dell'intelligenza artificiale. [β¦] Tuttavia da un punto di vista dellβAmerica come Grande Potenza, questo boom Γ¨ ambivalente.
Apple Γ¨ l'esempio emblematico: la prima azienda al mondo da tre trilioni di dollari deve il suo successo ai laboratori di design in California e a una catena di fornitura altamente sofisticata in Cina. Apple Γ¨ la storia di successo della βChimericaβ. Che si tratti di Taiwan, Corea del Sud, Giappone, Regno Unito, Germania o Paesi Bassi, la tecnologia dipende ovunque dall'integrazione con la produzione cinese [β¦]. La produzione di massa di microelettronica Γ¨ l'esempio piΓΉ sofisticato della divisione del lavoro mai realizzata nella Storia dellβumanitΓ .
Uno degli attuali obiettivi del potere americano tuttavia Γ¨ di minimizzare il ruolo della Cina proprio in questa catena di fornitura. Di nuovo, questo fenomeno non comincia con Biden; ma con Obama. La campagna americana contro Huawei comincia sotto Trump. Ma Γ¨ il team di Biden ad aver raddoppiato gli sforzi, intensificando le misure negative e introducendo un nuovo livello di sussidi con il CHIPS Act. [β¦]
I componenti microelettronici sono cruciali, poichΓ© in questo dominio si manifesta l'aspirazione fondamentale del potere statale. La tecnologia ha vinto la prima Guerra Fredda. Nel campo della tecnologia, soprattutto, gli Stati Uniti vogliono rimanere non solo forti, ma dominanti. [β¦] Non si puΓ² sottovalutare la decisivitΓ e l'importanza di questa posizione. Si tratta di un allontanamento da una concezione puramente economica della globalizzazione. Γ apertamente conflittuale e, dal punto di vista cinese, la minaccia Γ¨ evidente. I portavoce piΓΉ liberali dellβAmerica possono dire di limitarsi a difendere un βpiccolo giardino con un alto steccatoβ. Ma ciΓ² che si trova all'interno di quello βsteccatoβ Γ¨ chiaramente tutto ciΓ² che conta per il potere statale in questo momento.
L'analisi della competizione tra Grandi Potenze formulata per la prima volta come base per la politica estera statunitense nell'era Trump Γ¨ stata messa in pratica sotto Biden. E il particolare significato della lotta high-tech Γ¨ che replica in modo quasi imbarazzante la tesi utilizzata dalle potenze revisioniste dell'attuale momento storico. La tesi di Russia e Cina Γ¨ che il loro revisionismo Γ¨ giustificato dal fatto che lo status quo precedente era stato plasmato a vantaggio dell'America nel momento unipolare degli anni '90. Che si tratti dell'Ucraina o del Mar Cinese Meridionale, nel campo tecnologico, Γ¨ proprio ciΓ² che gli Stati Uniti stessi ora affermano apertamente. La globalizzazione era un progetto americano, dal quale le imprese statunitensi hanno tratto grandi profitti, finchΓ© gli sviluppi tecnologici e industriali non hanno minacciato di minare il potere statale degli Stati Uniti nell'area piΓΉ importante della tecnologia moderna. A quel punto, lo stato americano ha cambiato le regole, unendosi ai revisionisti. [β¦]
Il significato storico delle politiche su tecnologia e armi nucleari attuate sotto Biden Γ¨ che segnano la fine definitiva e auto-consapevole del momento globalizzante post-Guerra Fredda. Questo cambiamento si preparava da tempo. La presidenza Obama ne percepΓ¬ i primi segnali. Gli Stati Uniti non sono ovviamente l'unico fattore accelerante β tutt'altro. La sfida posta da Russia e Cina Γ¨ reale. Ma ciΓ² che colpisce e preoccupa dell'amministrazione Biden Γ¨ la sua mancanza di immaginazione nell'affrontarla. [β¦]
Nonostante i gesti di grandezza, la strategia statale americana degli anni 2020 appare logora. [β¦] Se nei prossimi anni non emergeranno opzioni migliori, lo scenario sarΓ quello di una cupa escalation di tensione tra un mondo in cambiamento e una visione del potere americano che, pur sofisticata tecnologicamente, appare in termini politici sempre piΓΉ anacronistica.
Se siete nuovi da queste parti, io mi chiamo Cesare Alemanni. Mi interesso di questioni globali allβintersezione tra economia e geopolitica, tecnologia e cultura. Per Luiss University Press ho pubblicato La signora delle merci. Dalle caravelle ad Amazon, come la logistica governa il mondo (2023) e Il re invisibile. Storia, economia e sconfinato potere del microchip (2024).