Macro | ⚡Hamas, Netanyahu e il mondo tra sei decenni ⚡
E un leak del Dipartimento di Stato..
Finora su Macro ho pubblicato perlopiù testi di lunghezza consistente. La divulgazione di approfondimento è, del resto, un formato che amo, da scrittore come da lettore. Tuttavia è molto impegnativo da sostenere, mantenendo un ritmo di pubblicazione elevato. Non solo: è anche un formato che mi costringe a scartare temi di cui vorrei scrivere, notizie che vorrei commentare, questioni su cui vorrei intervenire, semplicemente perché non ho abbastanza tempo da dedicargli.
Ho perciò deciso di inaugurare una specie di sotto-sezione di questa newsletter, per raccogliere spunti più rapidi, idee in formazione, commenti flash a notizie o a eventi che mi sembrano meritevoli di attenzione etc.
Ho pensato per un attimo di chiamarla Micro (ah-ah) ma mi pareva troppo cringe… e quindi riconoscerete i post della sezione perché saranno contraddistinti dall’emoji… di una saetta (eh già : ).
Co-dipendenze tossiche
Nel 2018 mi sono recato a Teheran per dieci giorni. Di ritorno scrissi un articolo sulle mie impressioni dell’Iran, frutto di conversazioni con intellettuali locali. Nel testo raccontavo di come la relazione tra le componenti più radicali e corrotte del regime iraniano (i Pasdaran) e quelle più reazionarie della politica americana (dai neo-con ai trumpiani, fino ai falchi dem) avesse creato, nel tempo, un sistema di feedback, per cui l’irrigidimento di una parte portava alla radicalizzazione dell’altra e così via in un gioco di specchi. Un teatrino funzionale a legittimare il potere degli uni e degli altri – e nel caso dei Pasdaran anche numerosi privilegi socio-economici – e che teneva legati gli uni e gli altri in una co-dipendenza tossica, in cui ciascuno fungeva da spauracchio politico per l’altro, così da polarizzare al massimo le rispettive opinioni pubbliche e spostarle verso gli estremi, lì dove tutto sembra “cambiare perché nulla cambi”.
Notavo, viceversa, come ogni volta che una delle parti aveva fatto tentativi per spostare la conversazione verso il centro, questi tentativi avessero di riflesso prodotto un ammorbidimento (più o meno significativo) della controparte. Un ammorbidimento che purtroppo, nel lungo termine, veniva sabotato non appena gli estremisti riprendevano il potere a Washington o a Tehran.
Perché racconto tutto questo? Beh, perché mi sembra una relazione molto simile a quella che, negli ultimi anni, ha caratterizzato la co-dipendenza Netanyahu - Hamas (non che la cosa sorprenda, dato che la questione Israelo-palestinese è in una relazione di scala e prossimità con quella Iran - Stati Uniti). E dunque, aldilà dell’orrore di ciò che accade a Gaza, mi pare ingenuo credere che l’iniziativa militare israeliana possa davvero ottenere l’eliminazione, e non anzi un rafforzamento, di Hamas (o del movimento che ne erediterà obiettivi e metodi). Uno spostamento verso gli estremi a cui, possiamo già prevedere, corrisponderà, con forza uguale e contraria, un’ulteriore radicalizzazione delle componenti più instransigenti del mondo politico israeliano e così via, in un ciclo della violenza utile solo a mantenere gli estremismi al potere.
Per come funzionano le co-dipendenze tra estremismi tossici, chi ha davvero a cuore la sicurezza di Israele, la sconfitta di Hamas e del terrorismo nella regione, dovrebbe invece riconoscere che tutto questo non può passare che dallo speculare superamento del “netanyahuismo”, dell’estrema destra al governo, del sionismo millenarista, dei convinti sostenitori degli attuali bombardamenti e degli insediamenti in Cisgiordania. Insomma dalla fine politica di tutti coloro che, all’interno di Israele, devono pressoché per intero la loro raison d’être all’esistenza di Hamas.
Il memo del dipartimento di Stato americano contro il sostegno di Biden a Israele.
Lunedì Politico ha pubblicato un “dissent memo” circolato attraverso il dissent channel del Dipartimento di Stato di Washington, al cui interno diversi diplomatici – “mid-level” ma con esperienza di Medio Oriente, si legge nell’articolo di Politico – esprimono critiche alla scelta di Biden di supportare Israele.
Nell’articolo si legge (grassetti miei):
Il promemoria contiene due richieste chiave: che gli Stati Uniti sostengano un cessate il fuoco e che bilancino i loro messaggi privati e pubblici nei confronti di Israele, compresa la diffusione di critiche alle tattiche militari israeliane e al trattamento dei palestinesi
[…]
Il divario tra la comunicazione interna e pubblica dell’America “contribuisce alla percezione che gli Stati Uniti siano un attore parziale e disonesto. Una percezione che nella migliore delle ipotesi non promuove, e nella peggiore delle ipotesi danneggia, gli interessi statunitensi in tutto il mondo”.
“Dobbiamo criticare pubblicamente le violazioni da parte di Israele delle norme internazionali, come l’incapacità di limitare le operazioni offensive a obiettivi militari legittimi”, afferma inoltre il messaggio.[…]
La tolleranza degli USA per un numero così elevato di vittime civili: “genera dubbi sull’ordine internazionale basato sulle regole che da tempo sosteniamo”.
Leggi anche:
sulla questione dell’ordine internazionale.
sul problema di coerenza che il sostegno a Israele pone all’Occidente, USA in primis.
Biden sui prossimi due o tre anni (e i successivi sessanta)
La frase più ad effetto della settimana l’ho letta, sabato mattina, nella newsletter del Grand Continent (lettura che consiglio sempre caldamente) e l’ha pronunciata Joe Biden. Durante un incontro alla Casa Bianca col presidente cileno Gabriel Boric, il Presidente USA ha dichiarato.
”Arriva un momento, ogni sei o otto generazioni, in cui il mondo cambia in molto poco tempo” – e subito dopo, su sollecitazione di Boric, ha aggiunto – “quello che accadrà nei prossimi due o tre anni determinerà la forma che avrà il mondo nei prossimi cinque o sei decenni»”
Ecco il video dell’incontro. Se vi concentrate sul fuoco alle spalle di Biden, potrebbe quasi sembrarvi una frase rassicurante (non lo è).