Macro | π Quale ordine? - II π
Di cosa parliamo quando parliamo di "ordine internazionale"? Seconda puntata: inizio e fine del "momento unipolare".
[Questo Γ¨ il secondo di tre post sul tema dellβordine internazionale. Approfitto della parentesi per segnalarvi che domani, sabato 23 settembre, alle 10.30, sarΓ² a Piacenza, ospite del Festival del Pensare Contemporaneo, per parlare di logistica e della fine, vera o presunta, della globalizzazione]
La prima βpuntataβ di questo articolo si Γ¨ conclusa con la fine della guerra fredda, momento di massima affermazione per lβordine liberale internazionale e per il suo leader: gli Stati Uniti rimasti unica superpotenza globale.
Coincisa con gli anni Novanta, quella parentesi viene oggi ricordata con lβespressione βunipolar momentβ. Charles Krauthammer ne tracciΓ² con precisione (e preveggenza) i contorni sul Washington Post del 20 luglio 1990:
βIl mondo bipolare, in cui il vero potere emanava solo da Mosca e Washington Γ¨ morto. Il mondo multipolare verso cui siamo diretti, in cui il potere emanerΓ da Berlino e Tokyo, Pechino e Brussels, oltre che da Washington e Mosca, sta sgomitando per nascere. La transizione tra questi due mondi Γ¨ ora, e non durerΓ a lungo. Ma lβistante che stiamo vivendo Γ¨ un momento di unipolaritΓ , in cui il potere mondiale risiede in una singola entitΓ , ragionevolmente coerente e serenamente dominante: lβalleanza occidentaleβ
Tale alleanza cercΓ² di utilizzare quel βsereno dominioβ per plasmare il mondo a immagine dei suoi valori, delle sue istituzioni, dei suoi principi di sviluppo. A questo scopo, negli anni Novanta aumentΓ² lβinfluenza di organi come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, il WTO. Per loro tramite si portΓ² a compimento una profonda riorganizzazione, e liberalizzazione, dei sistemi produttivi e finanziari internazionali. Una trasformazione che, in parte, si era avviata giΓ a fine anni Settanta. Oggi la conosciamo come globalizzazione.
A unβidea di βinternazionalismo liberaleβ di matrice politica, con lβinternazionalizzazione del liberismo, se ne accompagnΓ² una anche di stampo economico. Del resto, come si diceva nella prima puntata, liberal-democrazia e libero mercato erano stati i grandi pilastri istituzionali, e culturali, con cui lβOccidente, democratico e capitalista, si era opposto allβURSS, totalitario e comunista.
La connessione tra libertΓ economica e libertΓ politica era una caratteristica del pensiero liberale fin dai primi vagiti nel β600. Tuttavia la variabile neo - nel senso di neo-liberal β che si impose nel secondo Novecento, prese a proporre un modello di societΓ che ignorava alcune prudenze della tradizione a cui attingeva β in particolare la sua sensibilitΓ politica e lβattenzione per la sicurezza dello Stato β per rimpiazzarle con una fede cieca nella maggiore efficienza del mercato rispetto ai sistemi rappresentativi. Tale fiducia, lo vedremo, portΓ² al formarsi di un sistema economico autoreferenziale e del tutto separato dalla sfera socio-politica. Come il proverbiale genio fuori dalla lampada, tale sistema si rivelΓ² in seguito problematico da controllare.
Lβapogeo simbolico del βmomento unipolareβ fu, nel 1991, lβoperazione Desert Storm, la rapida cacciata delle forze irachene dal Kuwait da parte di unβalleanza a guida americana. Una guerra quasi βfotogenicaβ, e in cui gli Stati Uniti misero in vetrina la propria superioritΓ tecnologico-militare, candidandosi a quel ruolo di βglobal policemanβ che avrebbero esercitato con alterne fortune per tutto il successivo decennio (e oltre).
Nel 1991, il presidente degli Stati Uniti era George Bush Sr. A guerra ancora in corso, egli si rivolse al Congresso con queste parole:
βAbbiamo unβidea importante: un nuovo ordine mondiale (βnew world orderβ) in cui nazioni diverse sono unite da una causa comune: raggiungere le aspirazioni universali del genere umano: pace, sicurezza, libertΓ e il principio di legalitΓ (βrule of lawβ).
A queste dichiarazioni fece seguito un decennio di interventismo, soprattutto in due teatri, il Medio-Oriente e i Balcani, in cui le risoluzioni della prima e della seconda guerra mondiale avevano lasciato tragiche criticitΓ . Gli Stati Uniti e i loro alleati legittimarono il loro avventurismo geopolitico con quelle che Bush chiamava βle aspirazioni universali del genere umanoβ. Nellβidea di βnuovo ordineβ a cui alludeva Bush, lβuniversalitΓ di tali aspirazioni era un fine che giustificava i mezzi e lβeventuale uso della violenza per promuoverne la diffusione.
Da conservativo che era stato durante la guerra fredda, negli anni Novanta lβordine liberale occidentale passΓ², in altri termini, a un atteggiamento pro-attivo, mirato a estendere la diffusione delle sue idee, dei suoi principi e delle sue istituzioni. Fu in questo contesto che teorici e analisti delle relazioni internazionali cominciarono a parlare, a cavallo tra anni β80 e β90, della necessitΓ di definire un sistema di βregoleβ, che fungesse da βbiglietto da visitaβ (e/o da contratto costituente) del βnuovo ordine mondialeβ.
Fu cosΓ¬ che da Washington a Brussels, da New York a Tokyo si cominciΓ² con crescente frequenza a parlare di βrules based international world orderβ. Retto dalla premessa che gli ideali dellβOccidente liberale fossero universali etici, lo scopo di tali regole non era solo quello di tracciare confini tra chi ne riconosceva o meno la validitΓ e/o lβuniversalitΓ , ma anche di regolamentare le relazioni tra paesi e organismi internazionali come le Nazioni Unite, in termini pragmatici e, direi, burocratici.
Enforcer e garante di ultima istanza di tali regoleΒ β torniamo cosΓ¬ al tema della relazione tra ordine e potere, di cui si diceva nella prima βpuntataββ erano gli Stati Uniti. Tuttavia benchΓ© la loro egemonia li collocasse, per certi versi, fuori e al di sopra del sistema, anche gli americano erano, a livello teorico, sottoposti alle stesse regole di tutti gli altri aderenti allβordine. Negli anni Novanta venne anzi posta molta enfasi, soprattutto da politici quali Clinton e Blair, sul fatto che tali βregoleβ dovessero fungere anche da freno a potenziali abusi di potere da parte delle potenze egemoni.
Nel clima da βfine della Storiaβ e di grande ottimismo per le progressive sorti globali che caratterizzava gli anni Novanta, due fondamentali circostanze non vennero osservate con abbastanza attenzione. La prima era che alcuni importanti paesi aderirono sΓ¬ con entusiasmo al βnuovo ordine mondialeβ, ma solo dal punto di vista economico. Da quello politico non deviarono invece dalla propria ortodossia, che li vedeva fondamentalmente sconnessi dalla tradizione liberale e con essa difficilmente compatibili. Mi riferisco ovviamente alla Cina, che aprΓ¬ la propria economia ai capitali esteri ma non altrettanto fece con i valori politici e culturali che pretendevano di accompagnarli.
Lβaltro grande fatto ignorato del decennio fu la definitiva maturazione di una forte ostilitΓ anti-occidentale da parte di componenti radicali del mondo islamico. BenchΓ© le sue radici fossero piantate in profonditΓ nel terreno dei problematici lasciti coloniali, a partire da fine anni β60 esse erano state esasperate dalla questione israeliana e da ricorrenti attriti, anche militari, tra Occidente e mondo arabo e persiano in Medio-Oriente, inclusa la guerra in Kuwait di cui sopra.
Traducendosi nella minaccia asimmetrica del terrorismo, questo tema interessava trasversalmente lβintera architettura dellβordine liberale internazionale, che arrivΓ² infine a scheggiare in modo tanto brutale quanto βspettacolareβ, lβ11 settembre del 2001 a New York.
In un gioco di specchi, la radicalizzazione del mondo islamico produsse una reazione pari e contraria in quello americano e contribuΓ¬ allβascesa di una corrente intellettuale che concepiva lβ11 settembre nei termini di uno βscontro di civiltΓ β. Noto come neo-conservatore (neo-con), questo movimento riteneva che i valori occidentali fossero indiscutibilmente migliori di quelli del mondo islamico e che ciΓ² rendesse giustificabile il ricorso alla forza per imporle. Messa in questi termini, non era neppure violenza ma un accelerare processi di emancipazione. E poco importava se, per farlo, gli Stati Uniti avessero dovuto contravvenire alle regole della convivenza internazionale che essi stessi avevano contribuito a scrivere. I neo-con ritenevano che, date certe condizioni, lβazione uni-laterale fosse giustificabile anche senza lβassenso del consesso internazionale.
Si trattava, in pratica, di esercitare quel βpotere sullβeccezioneβ che, secondo Carl Shmitt, Γ¨ ciΓ² che identifica lo status del sovrano. CiΓ² fu esattamente quanto accadde con la decisione degli USA di invadere lβIraq nel 2003, nonostante la contrarietΓ di gran parte della comunitΓ internazionale. βBucandoβ il sistema di regole alla base dellβ βordine internazionale liberaleβ, gli Stati Uniti smascherarono il fatto di non essere mai davvero stati un βprimus inter paresβ e, inevitabilmente, ciΓ² ebbe conseguenze non solo per il prestigio morale degli USA ma per la credibilitΓ dellβintero ordine internazionale e delle istituzioni chiamate a rappresentarlo. Di fatto contribuΓ¬ a reintrodurre la logica, e la legittimitΓ , del βpuro potereβ nelle relazioni internazionali.
La conferma della dannositΓ della scelta di attaccare lβIraq Γ¨ divenuta molto evidente proprio in questi anni, in cui quel precedente Γ¨ stato spesso utilizzato per delegittimare la posizione americana sullβUcraina. Per non dire del fatto che lβinstabilitΓ prodotta da quella guerra, causΓ² un effetto domino in tutta la regione, al cui interno lo stesso Putin non ha mancato di recitare un ruolo.
Se le conseguenze a lungo termine dellβ11 settembre hanno scritto lβepitaffio politico del momento unipolare, altre vicende, sempre con epicentro a Manhattan, ne hanno decretato quello economico. Γ infatti nella penisola newyorkese che, nel 2007, esplode la crisi finanziaria nel cui cono dβombra in parte ancora oggi viviamo. Essa era il conto che presentΓ² la stagione di liberalizzazione e automatizzazione del mercato β di separazione tra la le logiche dellβefficienza economica e quelle del loro impatto socio-politico β di cui si diceva qualche paragrafo sopra.
La combinazione di questi due avvenimenti portΓ² a una drastica riduzione dellβefficacia con cui, negli anni Novanta, allβapice dellβ βunipolar momentβ, lβordine liberale internazionale aveva propagandato se stesso.
Le conseguenze di questo fatto, e i suoi effetti sul mondo contemporaneo, saranno lβoggetto della terza e conclusiva puntata di questo excursus sulla storia e lβevoluzione del concetto di ordine internazionale.
Domani a Piacenza.