Buongiorno a tutti. Dopo più di tre mesi riesco a tornare a scrivere una Macro. La ragione della mia lunga latitanza sarà svelata nei prossimi giorni. Oggi riprendiamo le pubblicazioni – che prometto più regolari almeno fino all’estate – con un breve recap di alcune cose che ho scritto in giro nelle ultime settimane e di notizie interessanti su alcune delle questioni più calde di questi mesi.
Un breve inciso per i molti nuovi iscritti che magari ricevono questa newsletter per la prima volta. Io mi chiamo Cesare Alemanni e sono un saggista e un analista. Mi interesso di sistemi tecnologici e industriali globali e delle loro ricadute economiche, politiche, sociali e culturali.
Ho pubblicato due libri per Luiss University Press. Il primo si intitola “La signora delle merci” e parla di logistica, supply chain e globalizzazione. Il secondo si intitola “Il re invisibile” e parla di microchip: la loro storia e la loro importanza per lo sviluppo dell’AI e per i rapporti di potere tra le superpotenze della nostra epoca.
Chip cinesi e chip di contrabbando
Iniziamo da due articoli di geopolitica della computazione che ho scritto per Guerre di rete, il sito nato dalla seguitissima newsletter della giornalista Carola Frediani, grande esperta di tech e cybersicurezza.
Il primo articolo è una summa di tutto ciò che sappiamo sull’industria cinese dei microchip, in particolare su come essa stia rispondendo alle restrizioni imposte negli ultimi anni dagli Stati Uniti. Il tema è importante per tutto ciò che riguarda la competizione tra Cina e USA, le eventuali tensioni intorno a Taiwan e il futuro sviluppo delle tecnologie legate al supercalcolo e all’AI.
Proprio in merito all’AI, e alle innumerevoli sfaccettature della questione, scrivo:
C’è poi la variabile DeepSeek. Sebbene l’exploit dell’intelligenza generativa cinese non vada sopravvalutato – poiché non del tutto indipendente da tecnologie e processi occidentali – è evidente come l’ottimizzazione algoritmica di DeepSeek rappresenti una variabile potenzialmente “impazzita” per il mercato americano dei chip di fascia alta, come ha del resto testimoniato l’immediata risposta, in negativo, del titolo di NVIDIA alla diffusione della nuova AI generativa cinese.
Allo stesso tempo, paradossalmente, proprio DeepSeek ha rivelato alcune delle fragilità infrastrutturali della dotazione hardware delle aziende AI cinesi, non solo a livello di chip ma anche di altri componenti cruciali come, per esempio, i sistemi di interconnessione dei server. Queste difficoltà sono altrettante testimonianze degli effetti – perlomeno nel breve termine – che il veto all’export americano ha avuto sulla microelettronica cinese.
Il secondo pezzo riguarda un fenomeno meno visibile ma sempre più rilevante: quello del contrabbando e della falsificazione dei chip. Tema che può sembrare di nicchia, ma che in realtà tocca questioni strategiche enormi.
Con l’aumento della domanda globale di semiconduttori – e l’intensificarsi delle pressioni geopolitiche sul settore – si è infatti sviluppato un mercato nero della microelettronica che opera su più livelli. C’è il traffico di componenti “vecchi” ma ancora fondamentali (soprattutto in ambiti militari e industriali), che transitano per canali informali e vengono riciclati senza alcuna certificazione. C’è la proliferazione di chip contraffatti, che imitano design di produttori noti ma non rispettano gli standard di qualità o sicurezza. E c’è, infine, un flusso di microchip ad alte prestazioni che, nonostante i divieti, riescono ad arrivare in Cina – passando per paesi terzi come Malesia, Emirati o Singapore – grazie a operazioni di triangolazione da spy-story.
Come scrivo nell’articolo:
Il mercato parallelo dei microchip si nutre attivamente delle vulnerabilità dell’industria stessa. A cominciare da quelle più strutturali come la carenza globale di chip, accelerata dalla pandemia e ormai divenuta una sorta di “new normal” dell’industria. È proprio in questo contesto che gruppi di falsari hanno trovato terreno fertile, spacciando per autentici componenti in realtà provenienti dal riciclo di rifiuti elettronici: vecchi chip smarcati, ribrandizzati e immessi sul mercato millantando prestazioni in realtà nettamente inferiori.
Qui il problema non è tanto l’evasione delle sanzioni, ma il rischio concreto che questi componenti pongono ai loro utilizzatori finali. Cosa succede se, per esempio, dei chip contraffatti finiscono nei freni di un treno ad alta velocità? Un ulteriore problema è che la distinzione tra illeciti volontari e falle strutturali è a volte sottile. I produttori di semiconduttori – pur con tutti i dovuti controlli – spesso non riescono a monitorare ciò che accade una volta che i componenti lasciano i canali ufficiali. È qui che la filiera si trasforma in un circuito fatto di documentazioni potenzialmente contraffatte e opportunità di corruzione dal basso.
Su questi temi:
Brevissima storia della fine della globalizzazione
Per Siamomine, un interessante progetto di contaminazione culturale con base a Roma, ho scritto un lungo saggio che riassume in modo – spero – chiaro e interessante i passaggi che hanno portato alla crisi della globalizzazione – come simbolo prima ancora che come sistema industriale – fino all’attuale “terrorismo tariffario” di Trump che rappresenta qualcosa di nuovo e di diverso rispetto a una “semplice” questione commerciale.
Ecco un estratto:
Ora tuttavia è giunto qualcosa di ancora diverso: la nuova ondata di dazi imposta dal secondo mandato di Donald Trump. Non si tratta, come nel 2018, di un gesto provocatorio, né di un diversivo finalizzato a un’agenda elettorale: i nuovi dazi rappresentano un’aggressione tariffaria a tappeto, senza precedenti nella Storia contemporanea. Nessun settore è al riparo. Nessun partner commerciale, o storico alleato, può dirsi al sicuro.
Se finora le regole del WTO erano state al più ignorate o aggirate (tanto da Trump quanto da Biden), ora esse vengono calpestate, schernite, con evidente soddisfazione. Il messaggio è chiaro: l’America (e la domanda cruciale qui è: soltanto quella di Trump?) non si sente più vincolata a nessuna architettura condivisa. È un messaggio rivolto a tutti: alla Cina ovviamente (dalla cui risposta dipenderà tantissimo del futuro di questa vicenda), ma anche all’Europa, al Giappone, alla Corea del Sud, al Messico, al Canada. Nessuno escluso. In un mondo dove ogni transazione commerciale diventa una potenziale arma, la reciprocità e la pianificazione cedono il passo alla negoziazione permanente e al calcolo a breve termine. È più di un cambio di direzione. È un reset.
Se attraverso i dati, negli ultimi anni, si poteva ancora sostenere che la globalizzazione non fosse mai davvero morta; che il destino del mondo fosse comunque globale, e che, al massimo, si fosse chiusa la parentesi “iper-globale” del momento unipolare, oggi si naviga a vista come non accadeva da decenni. Forse da secoli.
I dazi di Trump non sono semplicemente il risultato di una infantile e malsana ossessione per le bilance commerciali. Sono un atto di deliberata balcanizzazione dei meccanismi del capitalismo internazionale. Trump sta facendo, per certi versi, arte performativa. Non pare focalizzato a fare o a ottenere qualcosa, come di solito accade con ogni politica economica, bensì a rivelare e a segnalare. Il terrorismo tariffario che sta praticando – e il modo in cui lo sta somministrando – non può davvero essere mirato a ricostruire l’America produttiva o a imporre un diverso ordine (commerciale) al mondo. Sembra piuttosto voler comunicare che, finché l’America non avrà finito di scavare le proprie trincee, nessun ordine (commerciale, e non solo) sarà possibile.
Su questo tema:
Cina e USA discutono di commercio per la prima volta dall’avvento di Trump
Dopo mesi di dazi e tensioni, Cina e Stati Uniti riaprono il dialogo sul commercio con un incontro a Ginevra che si dovrebbe svolgere entro la fine della settimana. Ai colloqui parteciperanno il Segretario al Tesoro americano Scott Bessent e il Rappresentante per il Commercio Jamieson Greer e il Vicepremier cinese He Lifeng.
Dopo l’imposizione reciproca di tariffe superiori al 100%, l’incontro rappresenta un primo passo verso il dialogo. Ma cosa possiamo aspettarci da questo primo riavvicinamento?
Uno dei contributi più interessanti lo ha fornito Henry Huiyao Wang, presidente del think tank Center for China & Globalization (CCG) di Pechino intervenuto a The China Show di Bloomberg Television (video di seguito, dal minuto 57).
Tra i possibili segnali di distensione, Wang ha menzionato l’abolizione di alcune tariffe imposte da Washington, in particolare quelle su prodotti come iPhone, computer e veicoli elettrici Tesla, tutti in larga parte assemblati in Cina. Ha anche citato la cooperazione in corso sul tema del fentanyl, dove Pechino avrebbe già fatto passi avanti concreti, e la questione TikTok, su cui l’amministrazione USA potrebbe allentare la pressione.
Wang ha avvertito che, se non si porrà fine al conflitto commerciale, le conseguenze potrebbero essere gravi per entrambe le economie. “125% di dazi da entrambe le parti significa embargo. Non può funzionare”, ha detto, spiegando che anche se la Cina è in grado di resistere alle difficoltà, una rottura totale danneggerebbe anche le aziende americane.
Infine, ha rilevato che sebbene l’impatto delle tariffe non sia ancora evidente nei dati ufficiali, gli effetti sulla fiducia e sulle decisioni aziendali sono già evidenti. Le imprese cinesi stanno aumentando le vendite interne e diversificando i mercati esteri, preparandosi a una possibile decrescita dell’export verso gli Stati Uniti.
Insomma, le aspettative per l’incontro di Ginevra restano caute, ma la posta in gioco è alta. Non si tratta solo di dazi: in gioco c’è l’equilibrio economico globale in un momento in cui, oltretutto, la crisi India-Pakistan getta ulteriore benzina sul fuoco.
Su questo tema:
In conclusione vi lascio con il video di un mio intervento, qualche settimana fa, al “Festival dei territori industriali” di Treviso dove ho avuto il piacere di discutere di logistica e crisi dei sistemi globali con, tra gli altri, personalità di eccezione come Zeno D’Agostino, uno dei mostri sacri della portualità italiana.
Ben tornato!
Era da un pò che mi chiedevo come mai non arrivava più niente di Macro: sono proprio felice che sei tornato a scrivere!